Il governo si prepara a vivere un’altra giornata di passione. Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, durante la conferenza stampa conclusiva del G20 a Cannes, ha infatti definito la fiducia di settimana prossima un “atto di coraggio, quasi obbligatorio”.
In questi giorni l’area di disagio interna al Pdl sembra però allargarsi a vista d’occhio. Alessio Bonciani e Ida D’Ippolito sono passati all’Udc. E se si contano i firmatari della “lettera degli scontenti” e gli insospettabili che in questi giorni hanno chiesto un passo indietro al premier, come l’On. Maurizio Paniz, i conti non sembrano tornare.
Il 14 ottobre la maggioranza arrivò infatti a quota 316, perdendo gli scajoliani Gava e Destro e il responsabile Sardelli. Difficile però fare previsioni sulla prossima conta. «Io se fossi nei panni di Berlusconi la sfida non la farei – dice a IlSussidiario.net l’On. Calogero Mannino, che la fiducia a questo governo la votò solo il 14 dicembre –. I dissidenti del Pdl sono molti di più di quelli che hanno firmato quella lettera e anche tra i Responsabili c’è chi ha dei ripensamenti. Le prospettive d’altra parte sono cambiate: per Berlusconi vale il principio “O Roma o morte”, fino a puntare alle elezioni anticipate. In questo caso non soltanto i Responsabili, ma anche tutti quelli che all’interno del Pdl hanno semplicemente alzato il dito del dubbio difficilmente potranno tornare in Parlamento».
Lei non crede quindi all’ottimismo del premier, secondo cui gli scontenti torneranno sulle loro posizioni?
Io, a questo punto, spero che i deputati del Pdl abbiano coraggio e traducano nei fatti le valutazioni politiche che ripetono ormai da tempo. E cioè che questo governo non ce la può più fare. E lo dico senza alcun preconcetto nei confronti di Silvio Berlusconi.
Perché lei non voterà più la fiducia?
Il 14 dicembre la votai per evitare il ribaltone. Non tanto perché sia giusto o meno giusto in sé, ma perché volevo evitare che l’Udc consolidasse l’intesa con il Pd, mentre era opportuno riprendere il dialogo con il Pdl nella prospettiva del Partito popolare europeo in Italia. Non solo, anche la situazione economico-finanziaria imponeva quella scelta.
E qual è oggi il suo bilancio?
Purtroppo Berlusconi non ha puntato sul dialogo con i centristi. Ha fatto una mossa giusta, nominando una persona di valore come Alfano, ma non ha dato seguito a quell’intuizione riducendo il ruolo di segretario a quello di portavoce. Dal punto di vista economico, invece, la situazione si è addirittura aggravata a causa dei contrasti tra il ministro dell’Economia e il premier. Cose del genere nella Prima Repubblica non sarebbero mai successe.
I centristi però hanno sempre posto il passo indietro del Cavaliere come condizione.
È vero, ma è Berlusconi che ha un’idea sbagliata di dialogo. Lui pensa che sia semplicemente accettare quello che decide lui. L’intervista di Casini al Corriere della sera di ieri, ad esempio, è un’apertura politica nei confronti del Pdl e di Berlusconi, anche se non è quello che il Cavaliere sperava.
A questo punto quale suggerimento darebbe al premier?
Prenda l’iniziativa, ceda la presidenza del Consiglio e promuova una convergenza di tutte le forze politiche parlamentare, guidata da un altro esponente di centrodestra. Se qualcuno dovesse tirarsi indietro avrebbe tutto il diritto di farlo solo con chi ci sta.
Se invece insisterà con la fiducia secondo lei andrà incontro alla fine?
Il premier sta giocando a differire il tempo, ma non ha capito che questo non è nelle sue mani. Prenda atto che questa è la sua stagione conclusiva. Il suo titolo a essere leader di governo si è esaurito, com’è nella natura delle cose. D’altra parte è già durato oltre misura, più di Giolitti che ci lasciò in eredità il Fascismo.
Forse non sa che le elezioni le vincerà comunque il Pd. O forse ha un’altra tentazione.
Quale?
Fare un suo partito, di fedelissimi, riducendo al minimo tutte quelle componenti che hanno contribuito a creare Forza Italia e il Popolo della Libertà. In questa ipotesi ci sarà spazio soltanto per il suo “cerchio magico”, non solo in senso politico…
(Carlo Melato)