Il Pd ha adunato in piazza i suoi militanti, e non solo, richiamandoli all’unità. Per il Paese, e contro Berlusconi. Bandite le bandiere di partito, le uniche a sventolare sono state quelle tricolori. A sottolineare la necessità di sanare le frapposizioni, data l’urgenza del momento. «Dalla manifestazione è emerso, prevalentemente, un messaggio: il Pd è disponibile a lavorare con le altre forze politiche per trovare una soluzione alla crisi e uscirne» spiega, interpellato da ilSussidiario.net Peppino Caldarola, opinionista esperto di questioni politiche. Disponibilità che, come è stato ampiamente ribadito, sottostà ad una condizione: «Bersani, in questo, è stato molto netto. Berlusconi deve fare un passo indietro». 



Ma Piazza San Giovanni si è rivelata indicatore anche di quanto sta accadendo in seno al Pd: «E’ stata anche l’occasione per riaffermare la leadership di Bersani. Il quale si è presentato con il volto del leader “normale”, che non ama i fari della ribalta». Si direbbe una tendenza presente da un po’ di tempo nella sinistra europea, quella di acclamare capi “tranquilli”. «Non è un caso – continua Caldarola –  che, prima di lui abbia parlato Siegmar Gabriel, segretario della Spd tedesca e sia scorso sullo schermo un videomessaggio di Francois Hollande, due leader noti, appunto, per la loro normalità e per il fatto che non bucano lo schermo». Connotazioni caratteriali che hanno una valenza  politica.



«In Italia, è il segno che con la fine del berlusconismo, è finito il tempo anche dei personaggi mediaticamente irruenti, e si prepara il terreno per volti più dimessi. Come se questo rappresentasse il passaggio dal tempo delle cicale a quello delle formiche». In tale prospettiva, si comprendono i fischi al giovane sindaco di Firenze, Matteo Renzi: «Una contestazione non approvabile, a dire il vero; non sono mai simpatici i fischi ad una persona che la sua l’ha sempre detta lealmente. In ogni caso, esprimono la volontà del partito di non lasciarsi più trascinare nelle battaglie personale degli anni scorsi, quella di D’Alema e Veltroni per intenderci. Il Pd, così come chiede pace per il Paese, la vuole anche per se stesso». Bersani, perlomeno ai tempi della candidatura alla segreteria, era salutato come uomo di D’Alema, mentre non si esclude un’alleanza di Renzi con Veltroni. Non sarà che lo schema è destinato a perpetrarsi in eterno?



«Credo che, in realtà, il tempo di Veltroni e D’Alema si sia concluso. Giocheranno un ruolo nel Pd, ma non decisivo. D’Alema potrà lavorare alla ricerca di alleanze a Veltroni per coprire ruoli mediatici ma, sostanzialmente, sono usciti dalla prima fila. La partita oggi si gioca tra un leader sessantenne che vuole fare il traghettatore del post berlusconismo e due giovani – oltre a Renzi, c’è Zingaretti – che in un dopodomani potrebbero candidarsi alla guida del Pd». Molto di questo dipende dalla capacità di Renzi di attendere. «Credo, tuttavia, che abbia fretta a che questo acuirà le tensioni già presenti all’interno del Pd».

 

(Paolo Nessi