Silvio Berlusconi si dimetterà entro sera. La notizia, lanciata questa mattina sul web da due giornalisti del calibro di Giuliano Ferrara, direttore de Il Foglio, e Franco Bechis, vicedirettore di Libero, è stata smentita dopo poche ore dal presidente del Consiglio, tramite il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. L’incertezza sul futuro del governo però resta tutta.
Fino a ieri il premier aveva mostrato il suo proverbiale ottimismo e, in collegamento telefonico con il convegno di Azione Popolare, aveva dichiarato: «Siamo ancora maggioranza in Parlamento. Ho verificato in queste ore che i numeri sono certi. In questa legislatura non potranno esserci governi contrari al mandato uscito dalle urne nel 2008».
La presenza di Beppe Pisanu alla manifestazione del Terzo Polo, il passaggio di Gabriella Carlucci dal Pdl all’Udc (la terza in pochi giorni) e le dichiarazioni del ministro dell’Interno, Roberto Maroni («inutile accanirsi, la maggioranza non c’è più») sono stati però gli ultimi indizi di una lunga scia che porta dritti verso la crisi di governo.
Ma cosa accadrebbe se il premier decidesse davvero di optare per il “passo indietro” o se la maggioranza domani non dovesse ottenere la fiducia sul rendiconto dello Stato?
Innanzitutto, occorre chiarire che, in caso di crisi di governo la decisione finale spetta al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. È il Capo dello Stato, infatti, che, in questi casi, avvia le consultazioni con le più qualificate personalità politiche e verifica la possibilità che si formi un nuovo governo. Se questo poi non è possibile, non resta strada alternativa allo scioglimento delle Camere e quindi a nuove elezioni.
Dalle consultazioni presidenziali possono comunque uscire scenari molto diversi: da una nuova maggioranza, interna al centrodestra ma “allargata”, al governo tecnico, fino al governo di unità nazionale (o “governo di tutti”).
Analizziamo queste ipotesi una alla volta.
Ingresso dell’Udc nell’attuale governo: per poter realizzare una maggioranza di centrodestra allargata all’Udc occorre innanzitutto, come è ovvio, la disponibilità dei centristi. La condizione che il partito di Casini, e i suoi alleati del Terzo Polo, ha posto in questi mesi è sempre stata quella di una leadership diversa da quella di Silvio Berlusconi. Nelle ultime ore però l’Udc ha dichiarato di poter appoggiare un eventuale governo Letta solo se ci fosse posto anche per il Pd. Una richiesta che, già da sola, potrebbe far saltare il banco. Ma gli ostacoli sulla via della maggioranza allargata riguardano anche la Lega Nord. Il Carroccio in questi giorni ha infatti chiarito di non poter appoggiare un governo con gli ex Dc, “nemici del federalismo”.
Se tutte queste obiezioni dovessero però cadere e la disponibilità di tutti gli attori fosse esplicitata a Napolitano, un governo presieduto da Gianni Letta (o da Renato Schifani) diverrebbe realtà in breve tempo e potrebbe concludere la legislatura fino alla sua scadenza naturale, il 2013.
Governo tecnico: Una personalità super partes, alla Mario Monti, potrebbe invece guidare un governo di tecnici che possa realizzare gli impegni che l’attuale governo ha promesso in sede europea. In questo caso la lettera della Bce a firma Trichet, Draghi diventerebbe con buone probabilità il programma e il faro di questo esecutivo di transizione.
Il costo politico delle decisioni impopolari, che destra e sinistra non sono state in grado di prendere in questi anni, verrebbe così scaricato su delle figure imparziali che non parteciperebbero alla tornata elettorale successiva.
La sua durata potrebbe essere limitata a un anno e legata al raggiungimento degli obiettivi accennati prima. Per realizzare un’ipotesi di questo tipo serve però una grande convergenza, a cominciare dai due maggiori partiti. Dovrebbe perciò cadere il veto del Pdl.
Governo di unità nazionale: un esecutivo politico e non tecnico che comprenda i principali partiti italiani (a cominciare da Pdl, Pd e Terzo Polo) è un’ipotesi suggestiva, ma di difficile realizzazione.
Dopo anni di bipolarismo senza esclusione di colpi si passerebbe perciò al confronto e alla collaborazione. L’assenza di Berlusconi, che ha polarizzato gli ultimi 17 della lotta politica italiana, potrebbe però non bastare.
Elezioni anticipate: Se le consultazioni del Capo dello Stato dovessero registrare la mancata disponibilità delle forze politiche a convergere su una delle ipotesi prima prese in esame non ci sarebbero alternative al voto.
Siamo però in novembre e non ci sono i tempi tecnici per votare prima di fine gennaio. Una circostanza comunque inusuale. Ecco perché, in caso di ricorso alle urne, resta più accreditata l’ipotesi di un voto in primavera. Un’ipotesi vista con favore dal Pdl, che la ritiene l’unica alternativa possibile rispetto all’attuale esecutivo. Anche il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, non ha mai nascosto il suo desiderio di tornare alle urne il più presto possibile. In questo modo, infatti, il referendum anti-Porcellum verrebbe disinnescato e il segretario del Carroccio potrebbe risolvere le divisioni interne con gli ampi poteri che l’attuale legge elettorale gli offre, in sede di compilazione delle liste.
Più sfumate le opinioni dell’opposizione sull’argomento. Questa di certo non è la via preferita da Casini e da tutto il Terzo Polo, soprattutto con questa legge elettorale. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, invece, forte dei sondaggi favorevoli, partirebbe favorito nella corsa alla leadership del centrosinistra e alla premiership.