Le dimissioni alla fine non sono arrivate. Berlusconi ha smentito le voci fatte filtrare ieri da alcuni parlamentari del Pdl e ha deciso di andare alla conta sul rendiconto dello Stato e sulla lettera d’intenti presentata all’Europa. «Voglio vedere in faccia chi prova a tradirmi», ha dichiarato il premier alla vigilia dell’ennesimo “giorno della verità” di questa legislatura.
«A mio avviso è ragionevole che il presidente del Consiglio si dimetta – dice Piero Sansonetti a IlSussidiario.net –. In Parlamento ha una maggioranza risicata che non gli consente di governare. In secondo luogo, ha contro di sé i poteri forti: dall’Europa a Confindustria fino ai grandi giornali. È molto difficile governare in queste condizioni».
 
Ma se oggi Berlusconi facesse il passo indietro, o se venisse a mancare la fiducia, quale sarebbe secondo lei la soluzione migliore?

Il fatto è che, grazie alla legge elettorale vigente, Silvio Berlusconi è stato eletto presidente del Consiglio. Per questo motivo molto semplice è evidente che un governo diverso da quello guidato da Berlusconi sarebbe legittimo dal punto di vista costituzionale, ma non da quello politico. Non verrebbe infatti violata la Costituzione, ma la sovranità popolare.

Secondo lei perciò è da scartare sia l’ipotesi di un governo tecnico, che quella di una maggioranza allargata o di un governo di larghe intese?

Secondo me sono necessarie le dimissioni del premier, dopodiché è giusto che resti in carica per l’ordinaria amministrazione in vista delle elezioni anticipate. In un qualunque paese normale sarebbe la soluzione più logica. In Italia però si oppongono tutti, a partire dal presidente della Repubblica che settimana scorsa ha svolto addirittura delle consultazioni sul tema del decreto da presentare all’Europa, come se fosse un presidente del Consiglio aggiunto.
Se le forze politiche avessero però la forza di garantire a Berlusconi le elezioni anticipate in cambio delle sue dimissioni sarebbe tutto molto più semplice. Un po’ come è successo in Grecia.



Secondo Piero Ostellino Berlusconi deve lasciare perché non ha fatto le riforme che aveva promesso. Tra quelli che chiedono a gran voce questo passaggio ci sarebbero però anche i “Gattopardi” che vogliono mettere le mani sul Paese. 

Di sicuro l’alta finanza spera in un governo debole, privo di personalità politica, che attui politiche decise altrove. L’obiettivo è chiaro: rendere la politica ancora più debole di quello che è adesso, per avere un Paese che rinunci alla distinzione tra destra e sinistra e al diritto di decidere del proprio destino.
A me però preoccupa soprattutto la sinistra. Quale sarà il suo programma elettorale? Come farà a rimanere se stessa passando per il cappio di un governo tecnico che imporrà decisioni che sono più a destra delle politiche dell’attuale governo, dal taglio dal welfare a quello delle pensioni?



La lettera della Bce firmata da Draghi e Trichet secondo lei è irricevibile per la sinistra, come pensa anche una parte del Pd?

Da uomo di sinistra dico che l’avrei rispedita al mittente perché, al di fuori di qualunque norma democratica, impone al nostro Paese dei sacrifici senza senso in nome del dio Euro.
È la mia opinione, su cui si può discutere, ma su questo la sinistra non può non dire niente: o si presenta come una forza che attua le decisioni dei banchieri europei o dice di no a quella lettera. Non ci sono alternative, se vuole essere credibile.



Un nodo da sciogliere a prescindere dal fatto che ci sia o meno il governo tecnico.

Certo. Per la sinistra è finito il tempo in cui l’unica parola d’ordine poteva essere: cacciamo Berlusconi. Berlusconi è già finito. A questo punto bisogna tornare a parlare di politica, senza scorciatoie.

Nella sua ipotesi, come si gestisce la transizione da qui al voto, che non potrà comunque essere prima di gennaio o addirittura di primavera?

A mio avviso Berlusconi può governare da qui alle elezioni ottenendo nel merito un sostegno di tutto il Parlamento. Parlo di un piano bipartisan, nel vero senso della parola però, non nel solito modo nel quale la sinistra deve dire cose di destra e la destra pure.

Ad esempio?

Potrebbe essere ragionevole un programma in due punti per affrontare la crisi nei mesi che precedono le elezioni. Faccio un’ipotesi di scuola: un provvedimento di destra come la dismissione del patrimonio e uno di sinistra come una patrimoniale molto dura. Si possono fare degli accordi migliori, ma bipartisan significa questo. Non vuol dire certo prendere ordini dalle banche centrali.
Vede, la cosa più preoccupante in questa fase è vedere che democrazia e liberalismo non vanno più di pari passo. Sembra che stiano divorziando: la più grave crisi delle ultime settimane è stata originata dalla notizia che in Grecia si votava. E si è creato il panico… 

(Carlo Melato)

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