Silvio Berlusconi si è dimesso. O meglio, il presidente del Consiglio ha annunciato che rimetterà il suo mandato non appena verrà approvata la Legge di Stabilità. Questo il verdetto di ieri dopo il voto alla Camera sul rendiconto dello Stato (che ha visto la maggioranza fermarsi a quota 308) e la salita del premier al Colle. Si avvia così alla conclusione il quarto governo del Cavaliere, dopo mesi di agonia e di voti al cardiopalma. «Sinceramente, trovo questa situazione del tutto paradossale – dice Piero Ostellino a IlSussidiario.net –. Se davvero dovesse accadere saremmo l’unico paese al mondo nel quale il premier ottiene un successo in Parlamento e subito dopo si dimette. Se il presidente del Consiglio infatti dovesse riuscire a far approvare dal Parlamento i provvedimenti che l’Europa ci chiede perché dovrebbe fare un passo indietro?».
Secondo lei i numeri che si sono visti alla Camera ieri non dovevano spingere il premier a rassegnare le dimissioni?
Ho scritto più volte che Berlusconi deve andarsene perché non ha mantenuto le sue promesse e non ho certo intenzione di difenderlo. Quello che contesto è la logica politica, di cui in questo caso non vi è traccia.
Cosa intende dire?
Innanzitutto, in un Paese normale il rendiconto dello Stato lo avrebbero votato tutte le forze politiche. Da noi, invece, l’opposizione non ha partecipato al voto per dimostrare che la maggioranza non è autosufficiente. Certo, ha raggiunto il suo scopo, ma si è trattato di un successo d’immagine, non di una vittoria politica che può determinare la caduta di un governo.
E quale sarebbe stato perciò l’epilogo più logico?
Il premier nei prossimi giorni avrebbe dovuto presentarsi in Parlamento per far votare la Legge di Stabilità. L’opposizione, per non sconfessare l’Europa, l’avrebbe dovuta votare e il governo sarebbe andato avanti. Dopodiché, non appena l’esecutivo fosse andato in minoranza, nel tentativo di concretizzare tutte le promesse fatte a livello internazionale, si sarebbero avviate le consultazioni per formare maggioranze diverse, sulla base però dei programmi e del “che fare”.
La maggioranza però non sembra esserci più. Non sarebbe in grado di far approvare la Legge di Stabilità e, d’altro canto, l’opposizione non accetterebbe di fare da stampella al governo senza ottenere il “passo indietro” di Berlusconi.
Se in Parlamento ci fossero delle forze responsabili si verificherebbe un’ampia convergenza. Se così non fosse l’opposizione dovrebbe assumersi la responsabilità di votare contro il risanamento del Paese, che passa attraverso le direttive europee. E se lo facesse per il semplice motivo che il presidente del Consiglio non è di suo gradimento, certificherebbe di non aver alcuna remora a mandare allo sfascio il Paese, ammettendo di essere mossa soltanto da una crisi di astinenza da potere.
Probabilmente crediamo di essere il Paese di Macchiavelli, ma in realtà siamo quello di Brancaleone da Norcia. E così ciò che dovrebbe essere normale ci sembra assurdo.
Ma cosa accadrà nell’immediato futuro secondo lei?
Innanzitutto, chi è all’opposizione continuerà a chiedere le dimissioni del presidente del Consiglio senza dire cosa farà quando sarà al governo, per il semplice fatto che se lo facesse non riuscirebbe più a stringere le alleanze con delle forze con cui non condivide quasi nulla. Dopodiché verrà approvata la Legge di Stabilità, il premier si dimetterà e inizieranno le consultazioni.
A quel punto, gli stessi che l’avranno appena approvata useranno la trattativa per formare un nuovo governo per rimettere in discussione la Legge. Ci sarà infatti da accontentare la corporazione A, il gruppo di pressione B, i sindacati, Confindustria… Insomma, vinceranno i Gattopardi. Quelli che vogliono che tutto resti come prima e nulla cambi.
Nemmeno un governo tecnico che assuma come programma la lettera di Draghi e Trichet potrebbe essere una soluzione?
Il governo tecnico è la negazione della democrazia. Si verifica quando vengono chiamati al governo i filosofi di Platone perché le loro competenze vengono reputate più importanti della sovranità popolare, che si esercita delegando dei rappresentanti attraverso le elezioni.
L’unica alternativa seria alle elezioni anticipate a mio avviso è una maggioranza diversa, che si formi in Parlamento sulla base di impegni chiari.
Lei ha più volte scritto che Berlusconi non ha saputo realizzare le riforme, ma chi verrà dopo di lui probabilmente non ci proverà nemmeno. Secondo lei però per quale ragione una maggioranza così ampia in Parlamento ha fallito?
Innanzitutto perché siamo un Paese bloccato dalle corporazioni e dai gruppi di interesse. Poi per la carenza di mercato e per l’eccesso di leggi, divieti e regolamenti. In Italia tutto si oppone al cambiamento, spesso anche la stessa società.
Detto questo, se Berlusconi fosse stato un vero leader avrebbe avuto una visione chiara e si sarebbe imposto. Il Cavaliere, però, cura la sua immagine e ha il vizio di voler piacere. E così ha venduto le riforme che aveva promesso ai Gattopardi, sacrificando il cambiamento alla propria vanità. È su questo però che si gioca la differenza tra un leader e un demagogo.
(Carlo Melato)