L’ex sottosegretaro all’Interno, Alfredo Mantovano, commenta senza ironia la massa di emendamenti alla manovra “salva Italia” di Mario Monti, che si sta discutendo in due commissioni. Data l’urgenza di approvare la manovra entro Natale, questa massa di emendamenti, all’incirca 1.500, non le sembrano uno sproposito? «Guardi gli emendamenti si presentano per mille ragioni – spiega Mantovano a IlSussidiario.net -, ma non penso che ritarderanno l’arrivo della manovra in aula, previsto per martedì. I tempi saranno rispettati e la politica, in qualche modo, si inchinerà all’urgenza di questa manovra che avviene in un momento problematico per la stato dell’economia e della finanza italiana, europea e mondiale. Penso anche che il testo della manovra arriverà così come è oggi in Parlamento. Anche se alcune soluzioni si troveranno prima. Non credo che gli accordi possibili saranno trovati in aula».



Il gruppo politico che ha presentato più emendamenti di tutti è la Lega Nord, circa 600. Il Pdl su che cosa punta esattamente?

Il sentiero è molto stretto e quindi anche i margini di manovra. Noi puntiamo a delle correzioni su due punti importanti. E si tratta di correzioni possibili. La prima riguarda la deindicizzazione delle pensioni. A nostro parere si dovrebbe alzare il “tetto minimo”, quello di poco superiore ai novecento euro. Si cerca di portare la deindicizzazione su una soglia di pensioni corrispondenti a 1.400/1.500 euro. Ci sembra un fatto doveroso.
Il secondo obiettivo riguarda espressamente delle deroghe sull’Ici. In sostanza una deroga sulla prima casa, basandosi sul reddito, sul nucleo familiare. Anche questo, ritengo, che si possa ottenere.



Mi sembrate quasi tutti rassegnati a digerire questa manovra così pesante, definita dalla stessa Banca d’Italia recessiva. Molti parlamentari di opposti schieramenti sono critici, ma poi dicono che la voteranno.

Questa è la sitauzione che si è venuta a determinare per molti fatti. È evidente che questa sia una manovra recessiva. Al momento c’è solo un contenimento del debito, ma sfido qualsiasi persona a trovarci degli incentivi per la crescita. È evidente che, se resta così, questa manovra è destinata a farci passare qualche anno di recessione, sperando che non si debba ricorrere tra poco tempo a un altra manovra di questo tipo.



Lei vede in questa manovra un riflesso del summit che si è concluso ieri in Europa, con risultati che sembrano incerti, ma con una ferrea disciplina dei bilanci?

Questo credo che oramai sia di dominio pubblico. Siamo diventati tutti dei sudditi del’astrazione monetaria. Il summit poi ha sanzionato che l’Europa a 27 non funziona. Ed è sempre stato così. Ricordo di avere partecipato a delle riunioni quando c’era l’Europa a 15. Quando non si trovavano gli accordi si rinviava e intanto alcune decisioni venivano messe in pratica dalla burocrazia europea.

Che cosa spera che accada nei prossimi mesi? 

Spero che almeno non si arrivi a un direttorio a due, tra Francia e Germania, che decida la politica economica europea. Spero in un direttorio più ampio dove vengano tenute in considerazione altre istanze.

Dal quadro che lei fa, sia per quanto riguarda gli emendamenti alla nostra manovra sia per il contesto europeo più generale, si percepisce proprio un clima di “inchino” verso l’urgenza delle misure da prendere e, ripeto, una sorta di rassegnazione.

Guardi per quanto riguarda la manovra italiana, posso dire che tutti questi emendamenti avranno come effetto quello che a Napoli si chiama “ammuina”. Per il contesto generale, posso dire che la politica italiana ha gli stessi margini di manovra di una persona che ha un pistola puntata alla tempia. E non è un fatto recente. È una situazione che dura da diverso tempo”.

(Gianluigi Da Rold)