Nuovo partito, nuovo nome. O nuovo nome e stesso partito. Indiscrezioni di questo genere circolano da tempo. Era stato lo stesso Berlusconi a metterle in giro, quando ancora nessuno metteva in dubbio che lui era il capo e lui avrebbe continuato ad essere per sempre. Ora, quasi nessuno mette in dubbio il contrario: qualunque cosa diventi il Pdl, il suo fondatore dovrà farsi da parte. Resta da capire le intenzioni del diretto interessato. Se è vero, come si dice, che da gennaio darà vita in prima persona ad una nuova campagna elettorale per evitare un’emorragia di voti in direzione Lega, vorrà dire che difficilmente toglierà il disturbo. Il giornalista e scrittore Marcello Veneziani, raggiunto da ilSussidiario.net, definisce «l’ipotesi del nuovo partito probabile; e, credo, auspicabile. Indubbiamente, occorre ripartire da zero». Ma, anche lui, riconosce che «sarà difficile farlo se al timone resterà Berlusconi. In questa ipotetica nuova creatura dovrà ritagliarsi il ruolo di padre nobile». Non solo: «è bene che il processo che condurrà alla determinazione dei connotati del partito non scaturisca dall’alto, o da Arcore, ma nasca dalla necessità della politica». Berlusconi, ovviamente, difficilmente rinuncerà alle sue ragioni; «è comprensibile: non sono, del resto, solo di natura politica, ma anche sentimentale. Ma il rinnovamento si è reso, ormai, necessario, per una serie di motivi: dalla lacerazione subita quando uno dei cofondatori se ne è andato, a tutti quei fattori che hanno portato alla caduta del governo».



Un’altra ipotesi vuole che Berlusconi abbandoni il Pdl al suo destino e fondi un nuovo partito. L’ennesima formazione fondata sul suo carisma, con a fianco i fedelissimi, i berlusconiani oltranzisti e della prima ora. Non godrebbe più della maggioranza, ma si attesterebbe attorno al 15%. «Francamente – dice Veneziani – mi pare che non stia né in cielo né in terra. Berlusconi non è Fini e non rinuncerebbe mai ad una grande realtà per farne una più piccola». L’alternativa sarebbe l’abbandono della politica attiva. «Sarebbe, per lui, pur sempre preferibile; non potrebbe concepire di entrare Papa e uscire cardinale. Meglio uscire del tutto». Non è detto, in ogni caso, che per spiccar su tutti debba necessariamente ricandidasi. «Potrebbe continuare a fare il presidente del partito senza farsi eleggere nuovamente». Buttiglione, su queste pagine, ha fatto sapere che l’Udc è assolutamente disponibile a fondersi con il Pdl per dar vita al Partito Popolare Europeo Italiano.



A due condizioni: Berlusconi deve uscire di scena; e non potrà indicare il futuro leader. «Credo che la fusione rappresenti una scelta strategicamente importante e giusta. Il fatto, tuttavia, che Buttiglione escluda non solo Berlusconi ma chi proviene dalla leadership del partito più grande mi sembra una forzatura». Il ragionamento è semplice: «non è pensabile che il partito di minoranza stabilisca chi sarà la guida. Capisco che il progetto dell’Udc è quello di dare in mano a Casini quanto resta del Pdl, ma sarebbe molto più giusto arrivare a delle primarie o partire da una leadership di chi detiene il pacchetto di maggioranza; quindi, Alfano». 



 

(Paolo Nessi)