Si rivedono, non si rivedono, chissà. Il faccia a faccia del disgelo tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi dopo il divorzio politico sta diventando un lungo gioco di gossip e dissimulazioni. I due vecchi patriarchi del centrodestra italiano personalmente non hanno mai rotto eppure gli eventi, la crisi, il governo Monti, la gente intorno tutto spinge a drammatizzare e montare il caso politico.
Umberto e Silvio sanno bene di essere costretti per sopravvivere all’usura del tempo e agli incendi nei rispettivi partiti a tornare insieme un’altra volta per non morire entrambi. Insieme stanno in piedi, separati cadono giù. Solo che il primo non poteva accettare l’appoggio al governo dei tecnici e deve sedare in casa sua la fronda ormai maggioritaria dei maroniani; il secondo non poteva tradire il ruolo di partito nazionale del Pdl uccidendo in culla l’esecutivo del presidente in un momento tragico della storia repubblicana. E così due partiti, due scelte diverse. In mezzo un governo che magari sarà solo una parentesi di salute pubblica, magari sarà uno tsunami politico che spingerà a una configurazione totale del quadro, da qui al 2013. A quel punto addio Silvio e addio Umberto.
Inquadrati in questo schema gli eventi di questi giorni prendono la giusta forma e una loro precisa trama.
Fuori dei pettegolezzi e del finto corteggiamento respinto Maroni-Berlusconi l’altro giorno alla presentazione del libro di Angelino Alfano, la cartina al tornasole che spiega il vero stato di salute del rapporto Pdl-Lega, è la vicenda dell’arresto del vice presidente del consiglio regionale lombardo, Franco Nicoli Cristiani (Pdl), su cui il Carroccio a differenza di altre volte non ha calcato la mano, anzi.
Un po’ strano per un partito abituato a sfruttare ogni occasione per indebolire e attaccare gli alleati rivali del Pdl e, in particolare, il fortino di Roberto Formigoni. “Di questi tempi meglio non aprire altri fronti caldi…”, raccontano da via Bellerio. “Vediamo anche noi che nei paraggi del Pdl lombardo ogni tot esplode uno scandalo”. Ma i padani sono in una fase delicata della loro storia: all’opposizione del governo Monti, divisi all’interno, alle prese con una crisi economica che morde tutta la Padania e incerti su cosa fare da grandi. Il ritorno alla corsa solitaria, una riscrittura dell’alleanza con il Pdl, un nuovo matrimonio con l’allargamento delle nozze all’Udc come vorrebbe Alfano? Boh.
Per capire l’improvviso mutismo bisogna infatti guardare cosa si muove nella pancia leghista. Il partito si è ricompattato in superficie sull’idea di stare all’opposizione del governo Monti. L’altra sera a Varese, a margine di un incontro pubblico, c’è stata un pax di facciata ad uso militanti tra il bossiano Marco Reguzzoni e Roberto Maroni. Ma sotto la cenere il fuoco arde. “Il cerchio magico punta a blandire Formigoni perché ostacoli Alfano nella sua corsa alla premiership, in ticket con Maroni”, spiega una fonte leghista.
Bossi lascia fare, l’ipotesi potrebbe andargli bene perché “una corsa alla premiership del governatore lombardo indebolirebbe il disegno maroniano di prendersi il partito, isolando i pretoriani del cerchio magico”. In cambio dell’appoggio Formigoni fa balenare la possibilità di lasciare a un padano la poltrona del Pirellone. Di qui il recente invito rivolto a Formigoni, dopo le buriane passate, a partecipare al tradizionale incontro del lunedì in via Bellerio.
Anche l’opposizione a Monti è intesa in modi diversi dentro al partito, proprio in funzione del dopo. I maroniani pensano che debba essere “costruttiva e non aventiniana”, impostata per correre da soli nel 2013 oppure per riscrivere su basi nuove l’alleanza con un Pdl post berlusconiano targato Alfano; Bossi e il cerchio magico pensano si debba usare il tempo fuori dal governo per dare fiato alle vecchie parole d’ordine, rifarsi una verginità di lotta, per poi tornare all’ovile insieme all’amico Silvio, perpetuando un’altra volta il tandem che ha menato le danze nell’ultimo decennio.
Quale opzione vincerà? Impossibile dirlo ora. Entrambe rischiano di venire travolte dagli eventi e dall’azione del governo Monti. Se il nuovo esecutivo durasse e riuscisse a dare quella frustata all’economia che si aspetta l’Europa, nulla sarà più come prima sullo scacchiere politico e dei partiti. Potrebbe squagliarsi il Pdl, potrebbe spaccarsi il Carroccio, potrebbe disintegrarsi il Pd. A quel punto le vecchie alchimie sarebbero spazzate via. Addio sogni di gloria Maroni-Alfano. E addio riabbraccio Silvio-Umberto. Le loro, eventualmente, sarebbero solo vecchie cene tra reduci.