Lo scontro sull’articolo 18 tra il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, e i sindacati riapre il tema, a sinistra, dei costi politici che l’appoggio al governo Monti porta con sé. Già la manovra non è avara di sacrifici, ma se a questi dovessero aggiungersi nuovi focolai di tensione la pressione dell’Italia dei Valori e di Sinistra e Libertà sul Partito Democratico sarebbe destinata a salire. «Stimo molto il ministro Fornero – spiega l’On. Luciano Violante a IlSussidiario.net –, ma proprio per questo posso dire che certe dichiarazioni non hanno alcuna utilità. Bisogna cercare invece di costruire procedure di consenso, come in molte altre occasioni ha fatto il ministro, e tenere conto che nella situazione attuale il sindacato è in grave sofferenza».

Il suo giudizio sulla manovra, che dovrebbe essere approvata dal Senato entro Natale, resta invece positivo?



Occorre una premessa. Mario Monti non governa dal ’94, ma da qualche settimana. Ha ereditato una situazione difficile e ha dovuto farci i conti in poco tempo.
Alla luce di questo dato di partenza quello che è stato realizzato, a mio avviso, ha del miracoloso. Ora bisogna introdurre ulteriori elementi di equità, oltre a quelli che sono stati frutto del lavoro parlamentare.



Quali sono le sue proposte?

Metterei al primo posto il tema delle frequenze televisive e quello delle liberalizzazioni. Dopodiché andrà sciolto quel groviglio normativo che impedisce alla pubblica amministrazione di funzionare e che oggi costituisce un alibi per i cattivi funzionari e un laccio per quelli buoni. 

Ma come dovrà evolvere il rapporto tra il governo di Mario Monti e la classe politica? Ad esempio, voi del Pd considerate questo il “vostro” governo?

Mi permetta un passo indietro. Il governo Berlusconi è caduto su se stesso a causa dei meccanismi autodistruttivi che aveva al suo interno. A quel punto, da un lato, le forze di opposizione non avevano né i numeri né la legittimazione politica per governare; dall’altro, Pdl e Lega avevano perso il controllo della maggioranza, nonostante il “ribaltone” in base al quale per un anno hanno potuto governare grazie ad alcuni parlamentari eletti nelle file dell’opposizione.
Dopo 17 anni di delegittimazione reciproca non era credibile che Pd e Pdl governassero insieme. A quel punto però è subentrata l’intelligenza della politica che ha delegato a un terzo questo compito. Questo è il governo che abbiamo voluto e a cui abbiamo dato la fiducia per risolvere l’emergenza.



Rispetto alla fase iniziale l’asse Alfano-Casini-Bersani dovrà avere maggiore coraggio secondo lei?

Il patto a sostegno di questo governo è solido. Noi terremo fede al nostro impegno fino al 2013 e spero che anche il Pdl e il Terzo Polo facciano altrettanto. Per questo motivo è naturale che il tavolo tra i tre leader rimanga aperto. È un’eredità dannosa del berlusconismo, infatti, pensare che sia un imbroglio parlarsi alla luce del sole. Oggi poi non siamo nemmeno avversari, abbiamo alle spalle un passato pesante di rapporti burrascosi, ma sosteniamo lo stesso governo. 

Il Pd quindi non ha più alcuna riserva sul segretario del Pdl, Angelino Alfano?

Personalmente ho sempre avuto un giudizio positivo su Alfano, da quando fu nominato ministro della Giustizia. Credo che oggi stia esercitando in modo molto serio e apprezzabile la sua funzione, nonostante l’evidente difficoltà data dal fatto che l’ex presidente del Consiglio è ancora il dominus del partito.

Riguardo al nodo della legge elettorale, non manca molto alla decisione della corte Costituzionale sull’ammissibilità dei referendum. E dal Terzo Polo stanno arrivando proposte sulla scia del modello tedesco che una parte del Pd potrebbe gradire.

Condivido le parole dell’On. Cicchitto: prima di scegliere il modello riduciamo il numero dei parlamentari e superiamo il bicameralismo paritario. La legge elettorale non può prescindere da questi argomenti.
Se, ad esempio, come auspico, dovesse nascere un Senato federale che non ha il potere di dare e togliere la fiducia è chiaro che potrebbe essere eletto con un proporzionale puro. E se, invece, la Camera avesse questo potere occorrerebbe una legge che favorisca, ma non imponga, la costruzione delle coalizioni all’interno dell’urna, tutelando allo stesso tempo la stabilità degli esecutivi.

Ha in mente quindi un proporzionale che non affossi il bipolarismo?

Sì, ci sono forme di proporzionale corretto che offrono queste garanzie. Occorrerebbe comunque anche una riforma dei regolamenti che comprenda il voto a data fissa dei provvedimenti del governo, la parificazione del trattamento degli emendamenti tra Camera e Senato e la discussione entro novanta giorni dei progetti di legge di iniziativa popolare.

Ma secondo lei, chiusa questa fase, che sistema politico ci ritroveremo?  

Una cosa è certa, alla base del bipolarismo devono esserci dei valori di fondo comuni altrimenti si porta allo sfascio un Paese. Basta ripensare alla nostra tradizione. “Noi siamo stati parricidi, voi fratricidi”, mi disse una volta uno storico francese. E aveva ragione. Dal Medioevo in poi, infatti, l’Italia ha avuto il carattere specifico della divisività.
Oggi abbiamo bisogno di una fase in cui costruire valori comuni tra le diverse parti politiche. La guerra dell’uno contro l’altro, senza questi valori, ci ha bloccato per anni.

E quali passi dovrà fare il Partito Democratico per farsi trovare pronto per questa nuova stagione?

Non sono uno a cui piace accendere turiboli, ma Bersani sta facendo benissimo. E sarebbe ridicolo, mentre il Paese rischia di crollare, guardarsi la punta dell’alluce e riaprire vecchi capitoli interni.
C’è poi chi tira per la giacca alcune personalità dell’attuale governo. Per tutti però penso che valga una vecchia e buona regola: pensiamo a fare bene ciò che dobbiamo fare oggi, senza pensare a ciò che ci aspetta domani. Altrimenti faremo male entrambe le cose…

(Carlo Melato)