In un anno turbolento come il 2011, segnato dalla crisi finanziaria in Europa e dalle rivoluzioni politiche in Medio Oriente, può essere utile dare una scorsa alle tabelle del rapporto Democracy Index pubblicato dal magazine The Economist (leggi l’editoriale di A. Simoncini “Attacco alla democrazia“). Il dossier, giunto alla sua quarta edizione, prende in considerazione 167 Stati indipendenti, cioè la quasi totalità del territorio mondiale. A ciascuna nazione assegna un voto da uno a dieci sulla base di cinque parametri: processi elettorali e pluralismo; libertà civili; funzionamento del governo; partecipazione politica; cultura politica.
I Paesi quindi sono divisi in democrazie piene, democrazie imperfette, regimi ibridi e regimi autoritari. Le principali novità a livello mondiale riguardano i Paesi del Mediterraneo, con un indebolimento della democrazia lungo tutta la costa nord e un suo rafforzamento su quella meridionale. Come sottolinea il rapporto, il 2011 è stato “caratterizzato dalla crisi del debito sovrano e dalla debolezza della leadership politica nel mondo sviluppato, da drammatici cambiamenti e conflitti nel Medio Oriente e nel Nord Africa e dalla crescita dei disordini sociali in larga parte del mondo”. Secondo il Democracy Index inoltre l’attuale situazione si inserisce in una tendenza negativa per la democrazia a livello globale, che si è rafforzata sulla scia della crisi economica del 2008 e del 2009. Tra il 2006 e il 2008 c’è stato un periodo di stagnazione; tra il 2008 e il 2010 quindi tutto il mondo ha registrato una regressione nei suoi livelli di partecipazione democratica.
Nel 2011 invece, ed è il dato più significativo, il declino si è concentrato soprattutto in Europa. Nell’anno che si sta per chiudere sette Paesi dell’Europa occidentale hanno registrato un peggioramento nei loro livelli di democrazia, mentre l’unico Stato europeo a ottenere un incremento è stata la Slovenia. Secondo The Economist, la principale ragione è stata “un’erosione della sovranità e della responsabilità democratica associata agli effetti e alle risposte alla crisi dell’Eurozona”.
Il che significa, in parole povere, che la crisi è stata sfruttata dagli organismi Ue per ridurre gli spazi di democrazia nei Paesi dell’Unione. Cinque in particolare le nazioni dell’Eurozona che hanno registrato un declino sia economico sia politico: Grecia, Italia, Portogallo, Spagna e Irlanda. Come sottolinea il Democracy Index, “le prospettive politiche a breve termine dell’Europa sono inquietanti. Il progetto europeo è sotto seria minaccia e i conflitti all’interno dell’Ue sono sempre più duri. L’austerity più rigorosa, una nuova recessione nel 2012, un elevato tasso di disoccupazione e scarsi segnali di una rinnovata crescita saranno il banco di prova della capacità di recupero da parte delle istituzioni politiche europee”.



L’esatto contrario di quanto avvenuto nel Medio Oriente dove, come sottolinea The Economist, le rivolte popolari di un anno fa in Tunisia ed Egitto sono state improvvise e inaspettate, e si sono verificate in “terreni apparentemente aridi” per la democrazia. Andando a leggere i dati dei singoli Paesi a partire dal nostro, si osserva che l’Italia scivola dal 29esimo al 31esimo posto a livello globale, alle spalle di Stati noti in passato per l’apartheid come il Sud Africa, ex regimi comunisti come Slovenia e Repubblica Ceca, o nazioni del Terzo mondo come Costa Rica, Capo Verde, Isole Mauritius e Uruguay. Due i fattori che portano al declassamento del nostro Paese: il funzionamento della pubblica amministrazione, con voto 6,43, cioè peggio di Messico, Colombia, Indonesia, Malaysia e allo stesso livello di Papua-Nuova Guinea. 
Inoltre in Italia a essere molto scarsa è anche la partecipazione politica. Andando a vedere più nel dettaglio dell’Eurozona, si registra una regressione per Finlandia (dal settimo al nono posto), Spagna (dal 18esimo al 25esimo), Portogallo (dal 26esimo al 27esimo posto), Grecia (dal 28esimo al 32esimo) ed Estonia (dal 33esimo al 34esimo). L’unica a migliorare è la Slovenia (dal 32esimo al 30esimo posto), mentre la Francia conquista due posizioni (dal 31esimo al 29esimo posto) ma mantiene lo stesso “voto” nel Democracy Index, cioè 7,77.
Esattamente opposta la tendenza nei Paesi del Medio Oriente attraversati dalle rivolte delle giovani generazioni. La Tunisia, il primo Paese a essere coinvolto da questi fenomeni, balza addirittura dal 145esimo al 92esimo posto, raddoppiando il suo indice di democrazia da 2,79 a 5,53. L’Egitto invece guadagna “solo” 23 posizioni, passando dalla 138esima alla 115esima, mentre la Libia sale dalla 158esima alla 125esima. Il mancato successo, almeno per il momento, delle rivolte arabe fa invece scendere l’indice di democrazia in Siria (dal 153esimo al 157esimo posto), Bahrein (dal 122esimo al 144esimo) e Yemen (dal 147esimo al 150esimo). L’Iran rimane inchiodato alla 159esima posizione. All’ultimo posto infine c’è la Corea del Nord, nonostante la morte del dittatore Kim Jong-il.



(Pietro Vernizzi)

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