Luci e ombre del governo Monti, da ieri, son più definite. Il Consiglio dei ministri ha varato la manovra, prontamente ribattezzata dal premier stesso, “salva Italia”, che comporterà per gli italiani enormi sacrifici. Sul fronte previdenziale, assistenziale, e fiscale, tanto per citare i settori più colpiti. La promessa, è quella di trascinarci fuori dalla crisi. E, secondo l’onorevole Beppe Fioroni, raggiunto da IlSussidiario.net, potrebbe realmente essere mantenuta. Stando, almeno, alle attuali premesse: «il fatto che il presidente Monti abbia iniziato la conferenza stampa annunciando che avrebbe rinunciato al proprio compenso – dice –, credo rappresenti la cifra di un rigore morale che non è indifferente. In termini di credibilità è una cosa estremamente importante».



Secondo l’onorevole, «bisogna, anzitutto, ricordare che, se questa è una manovra per salvare l’Italia, significa che qualcuno, per troppo tempo, se ne è disinteressato. Oggi dobbiamo fare in fretta e furia quello che avremmo dovuto fare con sistematicità in tempi precedenti». Gli effetti si stanno riversando su chi ne è causa: «la Seconda Repubblica – continua – si chiude con la politica messa alla porte. Il che deve interrogare la politica stessa. Non potremo, in futuro, continuare a votare turandoci il naso. Varata la manovra, è necessario metterci la faccia, aiutando il governo a realizzare le riforme necessarie, sanando la frattura tra cittadini e politica e riacquistando credibilità».



Certo, le criticità non mancano: «questa manovra non è stata concertata; c’è stata solamente un’informativa nei confronti delle parti sociali. Va bene che si tratta di un’emergenza, ma in vista delle prospettive future e dello sforzo che dovrà essere fatto per far ripartire il Paese, il governo non potrà continuare a prescindere dalle parti sociali, ricordandosi che, in gran parte, sono estremamente responsabili». Nel dettaglio, rispetto alla manovra, a detta di Fioroni, c’è spazio per apportare alcune modifiche. «Mi auguro che, nel dibattito parlamentare, il governo possa contemplare una serie di aspetti. Va bene, ad esempio, tassare dell’1,5% i capitali scudati. Perché, tuttavia, non aumentare la tassazione al 2%? Chi ha portato miliardi all’estero, di un tale incremento non se ne accorgerebbe neanche. E quell’ulteriore 0,5% potrebbe essere utilizzato come copertura per alzare le pensioni minime». Le norme più difficilmente digeribili sono quelle relative alle pensioni: «qualunque lavoratore adulto – continua – si rende conto che la manovra va fatta solamente nel caso in cui si dia, contestualmente, un segnale alla giovani generazioni, ai propri figli. Segnali nei termini di qualche attenzione in più per quanto riguarda le certezze previdenziali di coloro che ne hanno meno di tutti o non ne hanno affatto».



Il terzo capitolo, sul quale agire ulteriormente, è quello dei costi della politica: «si è iniziato a tagliare sulle province. Si può osare ben di più, mettendo mano a quella infinità di enti non elettivi che non danno nulla al cittadino, ma spendono molto». Non è tutto: «è possibile, infine, tagliare in tutti quei settori in cui la politica dia da vivere a qualcuno. Penso ai finanziamenti ai partiti. Decurtandoli significativamente si otterrebbe un duplice effetto: le risorse accantonate potrebbero andare a vantaggio delle pensioni minime e dei giovani. E i funzionari di partito stipendiati dallo Stato, si troverebbero costretti a fare politica mantenendosi con la propria professione».