Un editoriale di Repubblica invita (intima…) al governo Monti di annullare l’assegnazione delle frequenze digitali tv e riaprire un’asta vera. È un appello che ha fondamenti per essere sostenuto giornalisticamente, così come è rispettabile la scelta del quotidiano di non firmare il fondo: sono in gioco interessi del gruppo editoriale l’Espresso (anche l’altra sera, a La7, Carlo De Benedetti ha detto apertamente che comprerebbe subito quell’emittente se Telecom la mettesse in vendita). Quello che appare meno condivisibile, nel merito dell’articolo, è il collegamento stabilito con l’alleggerimento della manovra sulle pensioni. In sintesi: i ricavi di un’asta “vera” sulle frequenze servirebbero per riportare l’indicizzazione integrale delle pensioni più basse: come minimo a 936 euro, forse anche a 1.300-1500 euro (è la ragione dello scontro in Consiglio dei ministri tra Mario Monti ed Elsa Fornero, cui poi in conferenza stampa è scappata una lacrima più di rabbia che di commozione; ed è la prima delle richieste di correzione alla manovra poste l’altra sera a “Ballarò” dalla capogruppo Pd al Senato, Finocchiaro). Buttare in politica – sulla scottante politica delle “pensioni minime” – l’eterno risiko dell’oligopolio tv, non appare un volo particolarmente alto da parte di un giornale che ha fatto dei conflitti d’interesse di Silvio Berlusconi la bussola di una quasi ventennale guerra politico-editoriale. Senza contare che Carlo De Benedetti ha potuto fare provvista di capitali per l’espansione tv allo sportello giudiziario. E non dimenticando che l’Ingegnere è residente in Svizzera: proprio quando l’ipotesi iniziale per coprire dall’inflazione le pensioni più basse era alzare al 2,5% il prelievo straordinario sui capitali “scudati” in rientro dai forzieri degli gnomi.