Quanto potrà incidere il referendum sulla legge elettorale sul quadro politico? La Cassazione, pochi giorni fa, ha giudicato valide le firme presentate a supporto dei due quesiti che mirano ad abrogare la Legge Calderoli. La Corte Costituzionale, tra gennaio e febbraio, dovrà invece decidere sulla loro legittimità. «Nessuno può prevedere che orientamento prenderà la Consulta – spiega a IlSussidiario.net il professor Augusto Barbera –. I quesiti referendari, infatti, generano sempre incertezza, sia per l’insufficienza della legislazione in materia, sia per i criteri restrittivi che la Corte si è data. Da parte mia, comunque, credo che verranno ammessi e me lo auguro». 



Professore, cosa ne pensa del dibattito di questi mesi sull’eventuale “vuoto legislativo” che l’abrogazione del cosiddetto “Porcellum” potrebbe generare?

C’è una giurisprudenza della Corte in materia elettorale che, se mantenuta, richiede che in seguito all’abrogazione, rimanga in piedi una normativa applicabile. In sintesi, la Corte non vuole che rimanga un vuoto.
La Corte ha perciò di fronte a sé due strade: o cambia la propria giurisprudenza o riconosce che l’abrogazione della Legge Calderoli porta al ripristino della Legge Mattarella, con il quale siamo andati al voto nel 1996 e nel 2001.



Chi sostiene che ci sia riviviscenza solo in caso di annullamento e non di abrogazione sbaglia?

Dice una cosa parzialmente vera. È pacifico infatti che ci sia riviviscenza in caso di annullamento di una legge abrogativa da parte della Corte Costituzionale. Bisogna poi tenere conto anche delle tante leggi abrogate che hanno ripreso vigore. Pensiamo, ad esempio, al Testo unico sugli enti locali del 1934 che, in pieno periodo fascista, abrogava quello del 1915 e a come sia parzialmente tornato in vigore con la ricostituzione delle amministrazioni elettive democratiche.
Il dibattito tra i giuristi comunque non deve stupire. Non ricordo infatti vigilia di referendum in cui non ci sia stata contrapposizione, spesso alimentata ad arte da chi non ne condivideva gli obiettivi.



A cosa si riferisce?

Guardi, nel 1991 ci furono autorevoli giuristi che ritennero costituzionalmente inammissibile il referendum sulla preferenza unica sostenendo addirittura che scrivere il cognome del candidato costituisse una discriminazione nei confronti degli analfabeti.
Questo dimostra come, a volte, ragioni di carattere giuridico e opinioni di parte possano confondersi.

Ad ogni modo, se i quesiti dovessero essere ritenuti ammissibili torneremmo a un sistema elettorale che presenta alcuni difetti, a cominciare dalla possibile formazione di liste civetta.

È vero. Nessuno in quel caso vieterebbe però al Parlamento di intervenire, rendendo magari impossibili le candidature multiple o le liste civetta stesse. L’importante è che non venga tradita l’ispirazione originale dei referendum.  
Tra gli effetti positivi non dimentichiamoci comunque l’abbandono delle liste bloccate, di un premio di maggioranza imponente e della rilevanza che oggi viene data anche a formazioni piccolissime.

E se invece la Consulta dovesse prendere una decisione diversa?

In quel caso, credo che il Parlamento non riuscirebbe a portare a termine una riforma. Non è infatti nel programma di Monti e gli equilibri tra le forze politiche, come vediamo, sono delicatissimi.

Nel 2013 quindi, con ogni probabilità, voteremo di nuovo con il Porcellum o con un Mattarellum parzialmente corretto. Difficile immaginare terze vie ispirate al modello tedesco, spagnolo o ungherese di cui i partiti parlavano qualche mese fa?

Esatto. D’altronde la spinta alla riforma della legge elettorale aveva soprattutto questo obiettivo: il ritorno al proporzionale, magari con un sistema alla tedesca. Era questo il “prezzo” che il centrosinistra era disposto a pagare per costruire un’alleanza con l’Udc.
Oggi però il quadro è notevolmente cambiato. Berlusconi è stato messo da parte e ci sono tutte le premesse affinché si formi uno schieramento che comprenda le forze che a livello europeo fanno parte del Ppe.
E se Casini e Alfano sono destinati a incontrarsi su un terreno diverso dal sistema tedesco, non vedo perché il centrosinistra dovrebbe “suicidare” il Partito Democratico, che in quel sistema non sopravviverebbe.

Il bipolarismo perciò non sembra in discussione?

Diciamo che corre meno rischi di qualche mese fa. La politica infatti non è più in grado di disinnescare il referendum e non può far altro che attendere il verdetto della Corte Costituzionale.
Sull’eventuale raggiungimento del quorum, invece, non ho il minimo dubbio, come dimostra il milione di firme raccolto in venti giorni dai promotori, senza nessun appoggio da parte dei principali partiti italiani.

(Carlo Melato)