Piero Ostellino, un grande direttore del Corriere della Sera, allontanato dalla sedia che fu di Luigi Albertini per manovre di bassa lega. Piero Ostellino, oggi un grande editorialista del Corriere della Sera, che spiega le cose più scomode in questo grigiore di intelligenza e di cultura. Piero Ostellino che, quando è possibile vedere i suoi pezzi, deve ricordare i principi della democrazia liberale a chi si professa liberista, senza averne neppure i “fondamentali”, come si dice in gergo. Lo scenario che dipinge è allarmante, ma realistico.



Che cosa sta accadendo direttore, in una situazione come questa di profonda crisi finanziaria e di manovre che appaiono recessive, deprimenti, cariche di “antibiotici” e di pochissime “vitamine” per la crescita?

Quello che sta accadendo è riassumile con un paragone che io non ritengo azzardato. La crisi finanziaria sta diventando un problema drammatico, come quello che nel 1922 era per l’Italia l’ordine sociale e pubblico. Alla ricerca della stabilità finanziaria si stanno sacrificando le garanzie costituzionali e le libertà della democrazia. Oggi il guaio grosso è che non hai un Antonio Gramsci, non hai un Giovanni Amendola, non hai un Giacomo Matteotti o un Piero Gobetti. A sinistra hai la signora Finocchiaro e al Governo un “sobrio professore” che di queste libertà, osservandolo nei suoi movimenti politici, non sembra tenere alcun conto. Alla fine questo sistema sta diventando una sorta di versione soft del fascismo, in chiave finanziaria e fiscale.



Non c’è proprio nessuno in grado di dare una risposta, di organizzare un’opposizione credibile?

Come è possibile? Guardiamoci in giro. C’è una classe politica irresponsabile, un establishment culturale becero e un’opinione pubblica confusa, frastornata, che chiede soprattutto ordine e giustizia in senso spiccio e vago.

Lei ha giudicato severamente questa manovra del governo di “impegno nazionale” che alla fine verrà approvata a stragrande maggioranza in Parlamento.

La manovra fiscale, così io la chiamo, contiene una nefandezza come quella della deindicizzazione delle pensioni. Cose da Stato pezzente. Ma questa manovra, senza le riforme di struttura necessarie, ci porterà tra due anni nella situazione di oggi. Cioè a fare un’altra manovra di questo tipo. Se non ci sono riforme strutturali, una riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale, com’è possibile concepire una crescita, o la crescita come si continua a dire e sbandierare? Mi pare che qui si debba tornare ai fondamentali dell’economia, bisognerà ristudiare la curva di Laffer per capire che con una simile fiscalità alla fine tutta l’economia si deprime, va incontro inevitabilmente a una recessione.



Scusi direttore, mi tolga una curiosità. Lei è un grande liberale e quindi mi pare il più titolato a rispondere. Giorgio la Malfa, qualche settimana fa, parlando della crisi finanziaria cominciata nel 2008, ha detto che il maggior responsabile è l’eccesso di liberismo tra gli anni Novanta e il Duemila. Concorda con questa analisi?

No, non concordo. La crisi americana dei subprime, nasce da un errore politico, da una manovra politica: l’eccesso di liquidità della Fed, con un costo del denaro a costo zero per favoirre l’indebitamento e che di fatto lo ha favorito. Alla fine questa scelta ha prodotto per le banche dei crediti inesegibili. Poi le continue iniezioni di liquidità.
È la politica, lo Stato con la classe politica del momento, che è entrata nell’economia e che ha causato un disastro, come è sempre capitato. Questo è servito a dire che è fallita l’economia di mercato e che è fallito il capitalismo. Faccio presente che dal 1848, da quando Marx ha scritto “Il manifesto del partito comunista”, il capitalismo ha affrontato e superato una decina di crisi. Il problema vero è che quando la politica distorce l’economia, il libero mercato, quelli che sono chiamati mercati si ribellano. I mercati sono come il termometro che misura la febbre.

In questo momento sto pensando alla crisi del 1929. Non si può dire che gli interventi di Roosvelt o i suggerimenti keynesiani non siano serviti in alcuni momenti?

Da un punto di vista congiunturale alcuni interventi sono serviti, certamente. Ma dalla crisi del 1929 si è usciti solamente con la Seconda guerra mondiale, cone l’incremento dell’industria bellica. In tutti i casi, io credo che noi stiamo vivendo ancora nel Novecento, con gli interventi statali, con dispute ideologiche che trasformano da un lato il liberismo in ideologia e i correttivi al capitalismo, come il keynesismo, sempre in un’altra ideologia. Ma noi dobbiamo partire da un problema semplice. Il libero mercato non è un’ideologia, ma è semplicemente la realtà. E questa realtà è quella che ha prodotto la maggiore richezza, il maggiore benessere e la più grande libertà nella storia dell’umanità. È da qui che dobbiamo partire, altrimenti scombussoliamo tutto.

A questo punto, direttore, le chiedo un giudizio su questa Europa, riunita in questo momento in un summit carico di incertezza e di pessimismo. Come giudica questa Europa?

La vedo in una situazione che non è molto diversa da quella italiana. L’Europa è nata ed è stata concepita come un disegno razionalista capace di prevedere tutto. È la grande illusione razionalista dell’illuminismo di matrice giacobina, di Rousseau. Al contrario, ad esempio, l’illuminismo scozzese era empirico e scettico. Non pensavano a una razionalità che prevedesse tutto, che fosse consapevole di tutto. L’illuminismo scozzese pensava che la felicità e il benessere nascesse da quello che ciascuno di noi fa, perseguendo il proprio ideale di felicità. E tutti insieme, inconsapevolmente, ripeto e sottolineo inconsapevolmente, concorrono al bene comune.
Il razionalista d’altro tipo invece pretende di conoscere lui il bene comune, si ritiene consapevole e alla fine riesce anche a creare qualche volta, con la pretesa della sua consapevolezza, i lager e i gulag. Sarà un esempio banale, ma è possibile che i burocrati di Bruxelles arrivino a proibire la produzione di alcuni alimenti perché fanno ingrassare le persone? Ma quello sarà o no un mio problema? Alla fine l’illusione razionalista dell’Europa, a mio parere, porta a mio a una riedizione dell’Unione Sovietica in fase soft.

L’invadenza dello Stato sembra instancabile, lo si vede anche in Italia.

Facciamo solo un esempio sulla cosiddetta tracciabilità, che oggi non permette spese superiori ai mille euro. E volevano adirittura abbassarla questa soglia! Che cosa dire di fronte a un fatto simile, ad esempio. Io devo appoggiarmi a una banca per avere il mio stipendio. Bene. Pago i costi che sono stabiliti dalla banca e non posso prelevare più di mille euro. Sul mio stipendio, su quello che è di mia competenza, sul mio denaro! E se faccio un bonifico di mille euro, ne devo pagare tre di commissione. Qualcuno vuole trarre, non dico delle conclusioni, ma qualche dubbio su una simile situazione oppure no?

(Gianluigi Da Rold)