I cables di Wikileaks sono un po’ come la frutta ai mercati generali. Ce ne è di ogni colore, di qualsiasi gusto, per tutti i palati. Basta solo pescare nel cesto e uno troverà quello che vorrà. Anche se non tutti i cesti sono esposti al pubblico.
Da un paio di mesi quelle note riservate delle ambasciate americane in giro per il mondo rubate da qualche hacker e diffuse con sapiente regia da Julian Assange spuntano qua e là sulla stampa per essere usate alla bisogna. Nei primi giorni sembrava dovesse venire giù il mondo per quelle rivelazioni, ma ben presto si è compreso come la montagna avesse partorito il topolino. Da dicembre ad oggi davvero sono venuti giù paesi interi. Ma non per la forza d’urto di Assange, come per altro era prevedibile. Perché è naturale che in messaggi riservati della diplomazia ci sia un linguaggio assai meno curiale di quello cui normalmente si è abituati. Meno naturale che oltre il linguaggio in quei “cables” cambi anche il giudizio su questo o quel governante di più di un paese rispetto alle decisioni di politica estera ufficiali.
Ho letto tutti i rapporti riservati sull’Italia che ancora una volta si sono trasformati in un’arma impugnata per la battaglia politica interna e devo dire che se anche per quei dispacci vale la regola dei mercati generali (si trova ogni frutto, dolce e amaro) per cui si leggono giudizi caustici su un governo e pochi mesi dopo ad opera delle stesse mani vengono firmate valutazioni diametralmente opposte, in generale mi sono sembrati ingenerosi e soprattutto inappropriati.
Bisogna premettere che tutti o quasi i rapporti di Wikileaks sull’Italia riguardano il governo Berlusconi nelle sue varie edizioni, e curiosamente trascurano altri esecutivi che si sono succeduti nel tempo (quelli di Romano Prodi e perfino quello di Massimo D’Alema, il primo ex comunista a guidare un esecutivo in Italia, portando perfino il paese in guerra nei Balcani). Naturalmente questo non è dovuto agli hackers pronti a rubare solo un po’ qui e un po’ là, ma alla squadra di Assange che rilascia con sapiente regia la documentazione in suo possesso.
Ma anche con queste premesse, sono convinto che un paese come l’Italia che ha rischiato la vita di migliaia di suoi uomini in Afghanistan, in Iraq, in Libano e in molte parti del mondo per difendere il diritto di esistere del popolo americano dopo l’11 settembre, non possa essere trattato nemmeno in via confidenziale con lo sprezzo e la leggerezza che traspare dai rapporti confidenziali della ambasciata americana di Roma.
Mi rendo conto che quei dispacci avrebbero dovuto restare segreti, ma ormai non lo sono e non si può fare finta di nulla. Quel che vi si legge ha un chiaro significato: la delegazione americana a Roma sia sotto la presidenza repubblicana di George W. Bush che sotto quella democratica di Barack Obama non sembra professionalmente all’altezza del suo compito. Chi è serio e ben conosce la politica estera anche nelle fila dell’attuale opposizione politica italiana ha chiaro che qui non si tratta di giudizi smargiassi su Berlusconi o su un altro premier o ministro, ma della dignità stessa di un paese che è interesse di tutti difendere.
Per questo dovrebbe essere richiesta corale delle forze politiche italiane che gli Stati Uniti modifichino radicalmente il livello professionale della loro rappresentanza diplomatica in Italia, sostituendo uomini e donne inadatti e comunque non graditi da questo paese. Dovrebbe essere una scelta bipartisan, e così evidentemente non è. Perché si preferisce andare alle baruffe chiozzotte sventolando a mo’ di piccone quel dispaccio di Wikileaks l’uno contro l’altro. Perché allora la politica italiana è davvero piccina e forse quei diplomatici americani non avevano tutti i torti…