«La “questione libica”, di fatto, stravolge l’agenda e l’ordine delle priorità interne al quadro politico italiano. Per il Paese è la crisi di politica estera più grave degli ultimi decenni. A differenza del passato infatti l’Italia non ha un ruolo marginale, ma viene investita in maniera diretta». Stefano Folli inizia così la sua analisi, mentre sul piano interno le agenzie segnalano la polemica Bersani-Berlusconi sulle parole riservate dal premier alla scuola pubblica. «Purtroppo emerge ancora una volta tutta la debolezza del nostro dibattito, troppo spesso mediatico, scontato e lontano dai problemi reali. Le vicende internazionali dovrebbero però consigliare a tutti maggiore serietà e coesione nazionale. Sulla crisi libica, infatti, sarebbe auspicabile una convergenza tra maggioranza e opposizione. L’Italia ha un complesso di interessi economici da difendere non trascurabile e rischia di essere soppiantata dagli altri paesi. Ad oggi poi non è dato sapere quali saranno gli sviluppi, quali i nuovi equilibri nell’area del Nord Africa e di che portata saranno le ondate migratorie».



In merito a questa vicenda qual è il suo giudizio sulla politica estera del governo?

La politica italiana nei confronti della Libia è la stessa da sempre, al di là del colore dei governi. Berlusconi si è inserito perfettamente nel solco dei suoi predecessori e l’Italia è stata colta in contropiede come è accaduto a tutto l’Occidente. Certo, il premier ha giocato troppo sul piano delle relazioni personali, nei confronti di Gheddafi occorreva maggiore prudenza, ma credo che l’errore vero sia un altro. Non abbiamo saputo esercitare un’influenza politica paragonabile alla nostra penetrazione economica e non abbiamo cercato altri potenziali interlocutori al di fuori di Gheddafi e della sua famiglia. Questa mancanza è quella che mette più a rischio il nostro ruolo nella Libia di domani.



La coesione che auspicava prima è necessaria anche per chiedere all’Europa un impegno maggiore nei riguardi dell’emergenza immigrazione che in molti stanno prevedendo?

Assolutamente. Il Presidente Napolitano ha preso una posizione chiara davanti all’Europa, affinché non ci lasci soli, ora sta alle nostre forze politiche comportarsi di conseguenza.  Certo, quando aumenta il rischio di immigrazione e fondamentalismo sul piano strettamente elettorale è il centrodestra ad essere più “attrezzato” a ricavare vantaggio. Preoccupazioni tra l’altro assolutamente giustificate, ma ancora tutte da verificare.



Grazie a questa crisi internazionale e agli ultimi sviluppi interni si può dire che le elezioni si sono allontanate almeno di un anno?

Direi di sì. Più volte è mancato l’elemento scatenante in grado di riportarci alle urne. Il più verosimile è sempre stato, a mio avviso, il malumore leghista e l’eventuale decisione di Umberto Bossi di staccare la spina. Evidentemente però il Carroccio ha preferito accontentarsi di un federalismo fiscale che, almeno nelle sue prime fasi, rischia di portare ai contribuenti maggiori tasse piuttosto che risparmi e migliori servizi. A questo punto i tempi tecnici per andare al voto sono molto stretti, anche se personalmente continuo a nutrire seri dubbi sul fatto che questa scelta sia stata lungimirante.

La maggioranza intanto consolida i propri numeri. Viespoli, l’ex capogruppo dei finiani al Senato, ha costituito “Coesione nazionale” a sostegno del governo. La battaglia tra Berlusconi e Fini si è davvero conclusa con la sconfitta del Presidente della Camera?

Fini è certamente lo sconfitto. A questo punto, a mio parere, farebbe bene a lasciare la Presidenza della Camera per potersi dedicare a una battaglia politica in cui crede ed è immerso ormai da tempo.
D’altronde non mi stupisce che i gruppi di Fli siano andati incontro a un impoverimento così evidente. Futuro e Libertà è nata infatti come manovra di palazzo, ma le operazioni di questo tipo hanno bisogno di uno sbocco a brevissimo termine, che non c’è stato. Ora tocca a Fini decidere se vuole continuare a giocare questa battaglia sul piano politico, cercando di convincere l’opinione pubblica che ha un altro modo di intendere la destra, guadagnandosi la fiducia e il voto degli italiani. Non sarà facile… 

Cosa comportano tutte queste novità nel campo del Terzo Polo e più in generale dell’alternativa a Berlusconi?

Il Terzo Polo rimane un oggetto misterioso e al suo interno si registra soltanto il repentino passo indietro compiuto da Gianfranco Fini riguardo all’“ipotesi D’Alema”. Venendo meno l’ipotesi di un voto anticipato, infatti, il leader di Fli ha voluto escludere l’ipotesi di un’alleanza centro-centrosinistra che poteva avere senso soltanto in un clima di “emergenza nazionale”. Nel campo del Pd, invece, non saranno le primarie torinesi a darci grandi indicazioni. Insomma, alcuni sondaggi registrano un piccolo generale rafforzamento delle forze d’opposizione, ma non vedo ancora indizi chiari e slegati dalle tattiche di breve periodo.   

In questo contesto, a poco più di un mese dal fatidico 6 aprile, l’ipotesi di una riforma della giustizia (condivisa o meno) resta molto improbabile?

Da anni in Italia si parla di questa riforma, ma non è mai stata fatta, anche quando le condizioni erano molto più favorevoli di quella attuale. Non resta che aspettare che la maggioranza scopra le carte. Se non sarà un’operazione ad hoc per mascherare nuovi rinvii ai processi del premier si potrà valutare la disponibilità dell’opposizione. Il contesto rimane in ogni caso il peggiore che si possa immaginare: tempi stretti, numeri risicati e un premier sotto processo con dei capi di imputazione molto gravi. Difficile essere ottimisti…

(Carlo Melato)