Terminato prima di iniziare il tempo delle tregue e degli appelli al dialogo, lo scontro politico torna ai suoi massimi livelli al termine di un fine settimana segnato dalle manifestazioni in favore delle dimissioni del premier e dagli attacchi di Silvio Berlusconi alla magistratura e a Gianfranco Fini.
Dopo il parere negativo della Bicamerale sul federalismo municipale e il conseguente “strappo” del Consiglio dei ministri, Pdl e Lega sembrano però intenzionati a reggere e a rinsaldare il proprio asse. «Il “freno” imposto dal Quirinale alla decisione del Cdm mi è sembrato doveroso, ma non pregiudica il cammino, comunque complicato, della riforma federale – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net -. Questa grave sottovalutazione compiuta dal governo rivela però una certa frenesia politica, oltre che la ricerca di un risultato immediato da spendere sul piano dell’opinione pubblica. La Lega aveva evidentemente la necessità di inviare un segnale ai comuni, anche in vista delle elezioni amministrative. Una strategia che però si inserisce in una fase già caratterizzata dalla tensione e che certo non aiuta ad abbassare i toni».



L’“intoppo” di settimana scorsa in Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale ha rischiato comunque di demoralizzare il Carroccio?

La Lega aveva indicato con chiarezza una strada maestra: in caso di un voto poco chiaro in Parlamento non ci sono alternative valide alle elezioni anticipate. Davanti al parere contrario della Bicamerale, Umberto Bossi ha però rinunciato a quest’arma, nonostante i malumori della base. La lotta contro la “resistenza conservatrice” che si oppone al federalismo sarebbe stato un argomento valido, eppure La Lega ha scelto di rinunciare al voto. Ora, se la strada è questa, sembra proprio che non sarà questo rallentamento a far precipitare la situazione. 



Le “barricate” del centrodestra secondo lei stanno compattando l’opposizione?
 

Effettivamente, se si dovesse andare a votare in questa fase sarebbe molto difficile per Casini (e quindi per il Terzo Polo)  sottrarsi all’alleanza con il Partito Democratico. Si andrebbe alle elezioni, infatti, in quello scenario di “emergenza democratica” più volte evocato da Massimo D’Alema. Soprattutto se la rottura non si verificasse sul piano della riforma federale, ma su quello dello scontro politica-giustizia.
La conseguenza è molto chiara: in nome di una “Santa Alleanza” che nasconde le differenze l’opposizione, per ora, può accontentarsi di seguire l’onda lunga degli scandali giudiziari di Silvio Berlusconi, se le elezioni non arriveranno a breve, invece, avrà l’obbligo di definire una proposta politica credibile.

Le manifestazioni al Palasharp di Milano e ad Arcore ci dicono che nel campo dell’alternativa sta prendendo piede la componente più giustizialista?



Non ne sarei così convinto. Da un lato è evidente che sta crescendo, favorita da ciò che emerge sui giornali, la piattaforma di chi pone l’accento sul piano giudiziario. Bisogna però dire che, per il momento, l’opposizione parlamentare non sta seguendo una china giustizialista. Tant’è vero che si parla sempre più frequentemente di una possibile esclusione di Di Pietro in favore di Vendola. Per ora, quindi, il peso dei gruppi di pressione non sembra ancora sapersi tradurre sul piano politico. Starà all’opposizione distinguersi per non spaventare quell’opinione pubblica che teme il “governo dei giudici”. 

Il voto alla Camera sul caso Ruby ha visto la maggioranza tornare su numeri più consistenti. Il gruppo dei Responsabili è in grado di garantire alla maggioranza maggiore tranquillità nell’immediato futuro?

Anche se era molto difficile che si verificasse un crollo del centrodestra su un tema delicato come l’autorizzazione a perquisire gli uffici di Silvio Berlusconi, bisogna dire che il Presidente del Consiglio, come dimostra il “rimpastino” in favore del partito di Storace, sembra ancora possedere gli strumenti giusti per tenere unita la maggioranza. Ci sono però tre nuovi ostacoli che attendono la maggioranza e il governo.

Quali?

Innanzitutto la ripresa del processo breve, che potrebbe alimentare nuove tensioni con la magistratura. Poi il Referendum contro il legittimo impedimento che rischia fortemente di prendere la forma di un plebiscito pro o contro Berlusconi. Il Cavaliere risponderà certamente sul piano mediatico a questa chiamata alle armi, ma sarà interessante vedere come reagirà l’opinione pubblica.

E il terzo?

A metà aprile scadranno i tempi tecnici per sciogliere il Parlamento. Dato che, fino ad ora, Berlusconi ha indicato se stesso come l’unica alternativa possibile alle elezioni anticipate, cosa succederà quando questa possibilità verrà meno sul piano tecnico? Non è da escludere che alcune delle possibili leadership alternative a Berlusconi non decidano di giocare la propria partita, dando inizio a scenari del tutto inediti.

Al di là dei diversi possibili scenari, quanto potrà incidere il deterioramento dei rapporti tra il premier e il Quirinale?

È evidente che al momento il Presidente del Consiglio non ha alcun interesse a alimentare la tensione con il Presidente della Repubblica. Berlusconi e Bossi, avendo rinunciando al voto, devono infatti cercare di far passare i prossimi decreti, evitando nuovi intoppi. D’altro canto, però, il premier continua a mostrare disinteresse nei riguardo dei consigli che il Quirinale gli invia, affinché abbassi i toni. Anche il videomessaggio di ieri lo conferma. Ecco perché, in prospettiva, non c’è da essere molto ottimisti: una volta passati i decreti attuativi e col riaffacciarsi del processo breve, non escluderei una nuova fase di gravi tensioni tra Presidente del Consiglio e Quirinale.