«Prima di commentare l’ennesimo annuncio di “riforma epocale”, che il centrodestra ha voluto fare sul tema giustizia, una premessa mi sembra doverosa». Enrico Morando, senatore del Partito Democratico, inizia così la sua discussione con IlSussidiario.net. «Dato che non è la prima volta che questo accade, non mi è possibile valutare se stiano facendo sul serio o se siamo davanti alla solita operazione di propaganda. Ammesso e (sottolineo) non concesso che le intenzioni siano sincere, mi chiedo anche se questo governo, dopo la crisi verticale del Pdl e della stessa leadership di Berlusconi, abbia davvero la forza per portare a termine una riforma di così grande ampiezza».



Il Consiglio dei ministri di questa mattina dovrebbe fornire delle indicazioni chiare in questo senso. Il Pd, in ogni caso, è disponibile a trattare entrando nel merito delle proposte?

Guardi, sono convinto che il Partito Democratico debba usare il tempo rimanente di questa legislatura, a prescindere da quanto sarà lungo (e temo che lo sarà), per accreditarsi come alternativa credibile di governo. Per fare questo deve però presentare le sue proposte di riforma. Sul fatto che ci sia bisogno di una riforma radicale del “servizio giustizia” infatti non vi è alcun dubbio.



E quale posizione prenderete se, ad esempio, verrà confermata l’annunciata proposta di separazione delle carriere e, conseguentemente, dei due Csm?

Il Pd deve partire dalle proprie proposte riprendendo alla lettera la bozza di riforma costituzionale della Bicamerale D’Alema. In merito alla sua domanda, in quel disegno di riforma la separazione delle carriere non c’è e, di conseguenza, non è prevista la separazione in due Csm distinti. C’è però una profonda e delineata distinzione delle funzioni: la carriera rimane in pratica unitaria, ma le funzioni vengono distinte in maniera chiara tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti. Tanto che in quella proposta si dà luogo, nell’unico Csm, a due distinte sezioni. Una soluzione assolutamente ragionevole che ci porta a ragionare necessariamente di obbligatorietà dell’azione penale.



Prego.

A mio parere il principio va mantenuto in Costituzione. È del tutto chiaro però che i magistrati requirenti fanno una scelta di priorità rispetto a quale notitia criminis perseguire e quale posporre. Occorre soltanto rendere trasparenti queste scelte. Fermo restando che non può essere il governo a definire queste priorità sono convinto perciò che debbano essere pensati dei meccanismi che permettano a tutti di giudicare i criteri con cui vengono prese queste decisioni.

Riguardo invece alla responsabilità dei giudici qual è la vostra posizione?

A questo proposito il modello della Bicamerale introduceva il principio dell’obbligatorietà dell’azione disciplinare. Le faccio un esempio: se l’organo di disciplina della magistratura riceve una segnalazione di violazione della disciplina di un membro della magistratura stessa, dopo aver fatto indagini approssimative, può benissimo decidere di archiviare. Lo deve fare però in modo trasparente. Deve aprire perciò un fascicolo, in modo tale da prendersene la responsabilità. Oggi, purtroppo, non è così ed è necessaria una soluzione.
Aggiungo, costituendo un’Alta Corte di Giustizia, bisogna accrescere la terzietà dell’organismo rispetto alle correnti interne. Si rischia infatti che le valutazioni disciplinari vengano prese in rapporto all’appartenenza alle diverse correnti interne alla magistratura. E questo non possiamo permetterlo.
Infine, se parliamo di responsabilità civile, è bene ricordare che tanti anni fa gli italiani dissero di volerla con un referendum. Penso che avessero ragione.   

Il suo suggerimento al Pd è quello quindi di riproporre la “bozza Boato” e trattare a partire da quelle proposte. Se la bozza del governo avesse dei punti di contatto considerevoli ci sarebbe perciò lo spazio per il dialogo, senza la necessità di piantare altri paletti. È così?

La “bozza Boato”, vorrei precisare, prende il nome dal relatore della Bicamerale D’Alema, ma è un lavoro di gruppo, una proposta votata e approvata. Io invito il mio partito a formulare una proposta organica e coerente a partire da quella bozza. Se poi il governo si dichiarasse d’accordo non capisco proprio come il Pd potrebbe votare contro le sue stesse proposte… 

In questi giorni si è tornato a parlare anche di immunità parlamentare. Pier Luigi Bersani ha però escluso che il Pd possa trattare su questo tema.

Guardi, sono uno dei cofirmatari del disegno Compagna-Chiaromonte e di certo non me ne pento. Detto questo, devo ammettere che, purtroppo, a seguito dello scandalo che ha colpito il premier non ci sono le condizioni minime per discuterne serenamente.

Lei più volte ha anche denunciato il problema della pubblicazione illecita delle intercettazioni telefoniche. Su questo tema maggioranza e opposizione possono trovare un punto d’intesa secondo lei?

Riguardo alle intercettazioni non c’è bisogno di riforme costituzionali, ma di leggi ordinarie. La mia proposta è chiara: sono contrario a qualunque tentativo di limitare i reati su cui la magistratura può ricorrere alle intercettazioni. Detto questo il “mercato delle intercettazioni” deve finire.

E come si raggiunge questo obiettivo?

L’unico modo a mio avviso è quello di introdurre in capo al pm la figura del responsabile unico della procedura d’intercettazione. La magistratura faccia perciò tutte le intercettazioni di cui ha bisogno senza limiti. Se però, prima che la procedura ne preveda la pubblicazione, si dovesse verificare una fuga di notizie, il responsabile unico ne dovrebbe pagare, a meno che sappia indicare il vero colpevole.
Negli ultimi vent’anni nessuna inchiesta sulle fughe di notizie ha mai trovato il colpevole. Penso che questo non sia accettabile.

(Carlo Melato)