«Le rivoluzioni in corso nell’area del Mediterraneo hanno cambiato la collocazione geopolitica dell’Italia, anche se il dibattito interno non sembra davvero all’altezza della situazione. Siamo così preoccupati dal capire cosa ci accadrà che non ci rendiamo conto di essere tornati sullo scacchiere internazionale la propaggine meridionale più avanzata dell’Occidente. Non possiamo però nasconderci sotto le coperte quando soffia il vento della storia». Antonio Polito parte dalla Libia e dall’Egitto per analizzare il quadro politico italiano, a suo avviso segnato in questi giorni da un dibattito provinciale. «Non trovo niente di negativo nel veder cadere i dittatori a causa delle ribellioni dei loro popoli. È un’occasione che può riconsegnare la libertà alle masse del mondo arabo. Se però si continua a leggere queste vicende attraverso il proprio ombelico e ci si lascia dominare dalla paura si può scambiare tutto ciò per un nuovo “mostro da videogame”, simile a quello della crisi finanziaria».



Qual è il suo giudizio sull’operato del governo e sulla politica estera che ha condotto in questi anni?

La mia critica è indirizzata a tutte le forze politiche, anche se questo governo è chiaramente azzoppato dai guai giudiziari del Presidente del Consiglio. Mi ha colpito una dichiarazione rilasciata da un sodale di Gheddafi che, interrogato sulla sospensione del trattato Italia-Libia, ha esclamato: “Il governo di Roma ha problemi più seri a cui pensare”. Se in questo contesto la Libia si permette di ridere della nostra politica non è certo un buon segnale. Detto questo, per il ruolo geopolitico che abbiamo, dovremmo dettare la linea agli altri paesi. Il premier però, dopo le posizioni attendiste di Frattini, ha promesso con grande enfasi che “l’Italia sarà allineata alla comunità internazionale”.



A richiamare l’Europa ai suoi doveri per ora ci ha pensato Napolitano.

È vero, anche se non sono stupito dell’egoismo europeo che si è sempre manifestato durante le crisi globali. Ricordo che nel pieno dei sommovimenti dell’‘89 anche chi era lontano da Berlino mostrava tutto il proprio disinteresse. Diverso invece il ruolo che stanno giocando gli Usa. Si sono liberati rapidamente del loro uomo, Mubarak, e grazie ai loro rapporti con l’esercito egiziano hanno fatto il possibile per evitare che si verificasse una carneficina. Ora hanno una posizione molto ferma nei confronti di Gheddafi e stanno guidando i paesi europei, Italia compresa.



Questo cambio di priorità internazionale, unito al rafforzamento numerico della maggioranza in Parlamento, allontana definitivamente le elezioni? 

Direi di sì, anche se un vincolo esterno che ci spingeva verso la stabilità già c’era ed era la crisi finanziaria. Il governo andrà avanti soprattutto perché, per quanto si possa chiacchierare, la maggioranza si è consolidata in Parlamento. Questa è la cartina di tornasole cruciale. Occorre però una ripresa dell’iniziativa riformatrice del governo che metta fine a un immobilismo inaccettabile.

A cosa si riferisce principalmente? Al rilancio dell’economia, al federalismo, o a una riforma della giustizia che sembra arduo portare avanti in maniera condivisa?

Ritengo cruciale la riforma dell’economia anche se ci sono dei vincoli oggettivi che Tremonti non ha smesso di far rispettare. Non capisco però i passi indietro del governo riguardo alle liberalizzazioni. Non costano nulla e possono togliere freni alla produzione e all’occupazione. Ciononostante è stata reintrodotta la tariffa minima agli avvocati, che penalizza la concorrenza, e si ipotizza la chiusura delle parafarmacie.
Per quanto riguarda il federalismo penso che sia una riforma maledettamente seria e rischiosa ed è un peccato che la sinistra abbia smesso di fare valutazioni di merito, cercando invece di indurre in tentazione la Lega.
Sulla giustizia invece non vedo francamente la volontà e la possibilità di realizzare una riforma annunciata un’infinità di volte. Occorrono maggioranze parlamentari e almeno due anni di letture parlamentari. Anche per questo è più probabile che tutto si risolva nell’ennesima leggina ad hoc per far proseguire al premier lo slalom tra i processi.

L’appuntamento del 6 aprile con il processo a Berlusconi intanto si avvicina sempre di più…

La vicenda è molto pesante, ma sono convinto che il punto più alto della marea sia già passato. La sollevazione morale che c’è stata non ha riguardato tutto il Paese e soprattutto non ha coinvolto l’establishment. Il processo aggiungerà di certo altro sale sulle ferite del Cavaliere, ma non sarà comunque immediato nei tempi.

Se Berlusconi sta al suo posto almeno per un altro anno cambia radicalmente lo scenario di riferimento anche per il Terzo Polo e per la sinistra.

Certo, oggi infatti il Terzo Polo è da reinventare. Il Pd, invece, ha commesso un grave errore: allontanandosi il voto ha sospeso la decisione delle alleanze e della leadership. Per la prima volta tutti i sondaggi dicono che l’asse Berlusconi-Lega è battibile, ma è un po’ come per le quotazioni di borsa: il guadagno si realizza se si vendono le azioni. Fra un anno le cose potrebbero essere radicalmente cambiate.

E quale degli schemi proposti in questi mesi l’ha convinta di più?

Se fossi nei panni del centrosinistra non mi cullerei nei sondaggi. Berlusconi è ancora forte, ha un radicamento popolare e per poterlo battere serve una coalizione larga. Penso che l’ipotesi di uno schieramento che vada al di là del centrosinistra nel segno di un “rinnovamento costituzionale”, con un programma minimo, potrebbe convincere gli elettori. Fini e Casini però non sembrano dell’idea e se non si riuscirà a convincerli alle prossime elezioni i poli saranno tre.
Se guardiamo alla maggioranza, invece, devo dire che gli storici hanno iniziato a parlare di “gollismo” solo con l’elezione di Pompidou. Dopo De Gaulle cioè, quando si è capito che era nato un movimento politico capace di prescindere da una sola persona…

(Carlo Melato)