«Non siamo entrati in guerra, siamo impegnati in un’azione autorizzata dal consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite». Con queste parole il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha commentato ieri l’intervento militare in Libia per mettere fine alla “repressione forsennata e violenta” subita dagli oppositori di Gheddafi. «Quella del Capo dello Stato è senza dubbio una posizione chiara – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net – che può favorire un maggiore sentimento di unità nazionale mentre si combatte una guerra alle porte di casa nostra. Un discorso da capo dell’esecutivo in un momento in cui, stranamente, il Presidente del Consiglio parla pochissimo. A colpire però non è soltanto il riserbo di Berlusconi, ma anche i distinguo della Lega Nord, che possono avere conseguenze molto più pesanti rispetto alle recenti polemiche sul 150° dell’Unità d’Italia».
Quali sono secondo lei le ragioni del silenzio del premier?
A mio avviso il Presidente del Consiglio ha la preoccupazione di non esporsi troppo su un tema come quello della guerra che, al di là di quali saranno gli sviluppi, avrà certamente delle ricadute di impopolarità. Certo, non capita tutti i giorni di dover impegnare i propri bombardieri ed è piuttosto singolare che in queste occasioni i ministri si sbilancino più del Capo del Governo. Penso però che le cause non vadano ricercate tanto nello scenario internazionale quanto nel quadro interno, visto che la Lega rema contro.
E come si spiega la posizione assunta da Umberto Bossi?
Vedremo fino a che punto vorrà spingersi il leader della Lega. Di certo questa linea può avere conseguenze molto più gravi rispetto ai distinguo sull’Inno di Mameli perché, se non ci saranno cambi di rotta, lo sbocco politico è il ritiro del Carroccio dal Governo. Non credo comunque a questa ipotesi. Nelle ultime parole di Calderoli si poteva notare come l’accento venisse posto su un problema diverso, ma sentitissimo dalla base, come quello del maggiore impegno richiesto all’Europa per fronteggiare i flussi migratori.
Secondo Pier Ferdinando Casini, Francia e Inghilterra ci hanno soffiato l’influenza nel Mediterraneo. È d’accordo?
Avevamo una rendita di posizione in Libia che oggi paghiamo. Di conseguenza il futuro sarà certamente meno roseo del recente passato. Detto questo, non si può ridurre tutto a slogan politico. La linea che abbiamo tenuto per anni sulla Libia è stata sempre la stessa, sia col centrosinistra che col centrodestra. Si può contestare, ma è la stessa che ci ha garantito quell’influenza che oggi temiamo di perdere.
Il Governo avrebbe dovuto evitare di farsi prendere in contropiede dalla Francia?
Era impensabile che, dopo aver intrattenuto con Gheddafi rapporti così stretti, potessimo essere noi ad avere un ruolo di prima linea in questo attacco. È la tesi alquanto singolare che, ad esempio, sostiene Italo Bocchino. Semmai l’errore dell’Italia è stato quello di non stabilire relazioni con gruppi estranei al “clan Gheddafi”. Proprio in forza della nostra presenza in Libia avremmo potuto sviluppare rapporti diversi e accorgerci delle prime avvisaglie di insurrezione. Ora è tardi per accorgersi che gli insorti sventolano soltanto tricolori francesi…
Le parole di Napolitano hanno saputo compattare praticamente tutte le forze politiche, ad esclusione della Lega Nord. Anche la sinistra, che in altre occasioni aveva sposato la causa pacifista, questa volta si è allineata…
Il pacifismo della sinistra sembra seguire troppo spesso circostanze e convenienze. Questa operazione, infatti, riproduce in piccolo quella che Bush portò avanti in Iraq. Non penso che la presenza di Obama alla Casa Bianca sia una ragione sufficiente per cambiare idea. Servirebbe un po’ più di coerenza.
Ma come cambiano a questo punto le priorità del quadro politico italiano dopo i fatti di Libia e Giappone?
La politica estera diventa certamente la priorità del Governo Berlusconi, chiamato a verificare in breve tempo che la “ferita” con l’alleato Umberto Bossi si rimargini. La riapertura dei processi rimette la giustizia al secondo posto tra i fattori di turbamento. La moratoria sul nucleare e le ultime notizie dal Giappone sembrano invece ridurre l’importanza della discussione sull’energia nucleare.
La maggioranza deve poi chiudere al più preso la partita del “rimpasto”. Il nervosismo delle varie componenti ci mostra la debolezza di una maggioranza che sulla carta ha i numeri, ma che in realtà sono legati al rispetto di alcune condizioni. In questo quadro il rischio di andare sotto in Aula è dietro l’angolo.
La “questione nucleare” cambierà però secondo lei il destino dei referendum di giugno?
I riflessi del disastro giapponese sull’opinione pubblica fanno lievitare le possibilità che il referendum ha di raggiungere il quorum. In quel caso vincerebbe molto probabilmente la tesi anti-nuclearista, favorendo la vittoria anche del referendum sul legittimo impedimento. Quella che sembra una vittoria insperata potrebbe però trasformarsi in un problema in più per la sinistra.
Cosa intende dire?
Una vittoria di questo tipo al referendum renderebbe impossibile al Partito Democratico il ridimensionamento di Di Pietro e Vendola. Gli equilibri di forza sarebbero certamente alterati in questo senso con il rischio concreto di consegnare Casini al centrodestra.
(Carlo Melato)