La sinistra nella sua parte maggioritaria è a favore dell’intervento in Libia. Un’altra area, di cui ha preso la guida Nichi Vendola, ha chiesto invece che le armi tacciano e si faccia sentire la diplomazia. Questa volta però le due anime della sinistra non si stanno demonizzando a vicenda come accadde con la guerra antiserba. Quello che i pacifisti non possono negare è che l’intervento ha fermato l’assalto di Gheddafi a Bengasi e il probabile massacro che ne sarebbe derivato. Tuttavia c’è un’area della sinistra che non ama sentir parlare di uso della forza anche se non ha risposte di fronte ai massacri dei dittatori e alle emergenze umanitarie. La sinistra riformista ha invece da tempo rotto il tabù sulle operazioni di polizia internazionale. In un caso, la già ricordata guerra antiserba, si trovò addirittura a condurre l’azione militare con un proprio governo e un proprio leader.
In effetti il pacifismo non si può dire che sia una cosa di sinistra. In esso confluiscono culture diverse impregnate da spirito umanitario e dall’idea che il dialogo, anche con il peggior dittatore, sia preferibile all’uso delle armi. C’è nel mondo pacifista moderno una preponderante parte cristiana e in essa confluiscono diversi filoni della sinistra. Fra questi vi sono coloro che leggono il pacifismo in chiave antioccidentale e antiamericana.
Non si può viceversa dire che il pacifismo sia nel Dna della sinistra. I grandi partiti e movimenti di sinistra hanno inneggiato a rivoluzioni violente, soprattutto antiamericane. Solo tardivamente Fausto Bertinotti assorbì la tematica della non violenza fra le culture che avrebbero dovuto rifondare il comunismo. Il filone socialista invece si è sempre diviso sugli interventi militari, ad esempio in Italia, ma le posizioni spesso non hanno rivestito carattere di principio.
Il tema che la sinistra moderna propone è quello della legittimità internazionale. Da qui il dissenso dalla guerra irachena, proclamata senza il consenso dell’Onu, e il favore verso quella libica, condotta in attuazione di una risoluzione dell’Onu.
La vicenda libica aiuta a frastagliare ancora di più il campo. Se la sinistra riformista in grande maggioranza è favorevole all’intervento armato, tranne alcuni settori cattolici, la sinistra pacifista è in grave imbarazzo perché il dittatore contro cui si scagliano le bombe è un ben conosciuto vicino di casa.
Quello che appare evidente è che il pacifismo come potenza mondiale che fu esaltato negli anni del contrasto alle guerre di Bush non è una cultura egemone nella sinistra anche se spesso è un suo compagno di viaggio. Nel caso libico a frenare le simpatie pacifiste c’è l’atteggiamento dei ribelli del Nord Africa che per la prima volta hanno chiesto aiuto all’Occidente rompendo quel diaframma che aveva diviso i due mondi. La novità libica ci dice che il fragile matrimonio fra pacifismo e sinistra sta terminando anche se talvolta può dar luogo a coppie di fatto.