«Gheddafi deve lasciare il Paese». Così ha stabilito, all’unanimità, la Conferenza di Londra di ieri sera. Secondo i ministri degli Esteri e i rappresentanti delle organizzazioni internazionali presenti «il popolo libico deve essere libero di determinare il proprio futuro». 
«Occorre il più ampio consenso internazionale possibile per costruire il “dopo Gheddafi” – dice a IlSussidiario.net il governatore lombardo, Roberto Formigoni . Andranno coinvolti i paesi vicini, l’Unione Africana e la Lega Araba. Su questo nessuno può arrogarsi il diritto di decidere da solo o all’interno di gruppo ristretto, magari in videoconferenza. Il rischio infatti è sempre lo stesso, fin dall’inizio. L’Occidente non deve dare l’impressione di svolgere un’azione neocolonialista».

A dieci giorni dall’inizio dell’intervento militare resta negativo sull’operazione e sulle sue possibili conseguenze?



Il mio giudizio rimane critico, anzi si aggrava dato che siamo in presenza di un’operazione militare ormai al di fuori del mandato Onu. La risoluzione infatti autorizzava missioni a tutela dei civili, oggi invece vediamo gli alleati scortare gli insorti sulla via di Tripoli e abbattere qualunque tipo di resistenza gli si ponga davanti.



Lei aveva espresso alcune perplessità sulla composizione del fronte degli insorti e sui suoi reali obiettivi. Con il Consiglio Nazionale di Transizione libico il quadro è più chiaro?

Al contrario, è ancora molto confuso. Non conosciamo in maniera adeguata il programma politico e la composizione della coalizione degli oppositori che, lo ricordo, ha al suo interno due ex ministri del Rais. Nessuno poi è in grado di assicurare che non ci siano tra i ribelli frange di estremisti islamici. Devo dire che il fatto che le intelligence dei paesi occidentali ne sappiano così poco mi lascia un po’ stupito.



Il Governo Berlusconi ha qualcosa da rimproverarsi?

Nessun rilievo può essere mosso al Governo che ha dovuto acconsentire alla scelta degli alleati esponendo le proprie perplessità. Anche per la nostra posizione geografica non potevamo certo chiamarci fuori.

Ma, col senno di poi, la politica estera italiana non è stata eccessivamente sbilanciata verso Libia e Russia? Lo “schiaffo” dell’esclusione dalla videoconferenza preparatoria dei lavori di Londra deve farci riflettere?

Innanzitutto non ci sono stati sbilanciamenti. L’Italia ha portato avanti con grande realismo, dal Dopoguerra ad oggi, una politica di amicizia con i paesi arabi e con Israele. Siamo al centro del Mediterraneo ed è evidente che dobbiamo cercare di avere buoni rapporti con i nostri  vicini. C’è stata continuità politica. Hanno fatto scalpore, infatti, le immagini di Berlusconi e Gheddafi, ma ci sono anche quelle di D’Alema e Prodi in compagnia del Rais. Anzi, Romano Prodi provò a firmare, senza riuscirci, quel trattato di pace firmato poi da Berlusconi.
L’episodio della videoconferenza, invece, è stato del tutto inaccettabile. Spero nasca dalla confusione del momento e dal tentativo improvvido dei tre paesi membri del Consiglio di sicurezza di ricucire i rapporti la Germania. Ad ogni modo è la conferma del grado di approssimazione con cui si stanno conducendo le operazioni.

Nel frattempo esplode l’emergenza immigrazione. Non solo per i flussi provenienti dalla Libia, ma anche da quelli che provengono dalla Tunisia. Come se non bastasse la Francia respinge i tunisini a Ventimiglia…

Il comportamento della Francia è vergognoso e inaccettabile. Stiamo parlando di un Paese che ha una colonia in Tunisia, che oggi è il massimo belligerante nell’operazione e che molto spesso si erge a paladino dei diritti umani. La comunità internazionale deve assolutamente intervenire.
L’emergenza immigrazione che l’Italia deve affrontare merita un ragionamento a parte.

Prego.

Innanzitutto occorre distinguere tra immigrati e profughi. Per quanto riguarda l’immigrazione extracomunitaria, infatti, ogni Paese ha fissato delle quote. L’Italia stessa accoglie ogni anno un numero prestabilito di persone ed è evidente che nessun Paese è in grado di accogliere tutti indiscriminatamente. Di conseguenza chi migra irregolarmente dev’essere sottoposto alle leggi. Diverso il discorso per quanto riguarda i profughi, persone che fuggono dalla patria perché è a rischio la loro vita e a cui viene riconosciuto uno status internazionale. Davanti a queste persone dobbiamo essere accoglienti, senza distinguo. Se uno sta affogando in mare non si perde tempo a discutere, prima di tutto gli si salva la vita…

Ma davanti ai primi segnali di questa emergenza come si stanno comportando le Regioni? I festeggiamenti per l’anniversario dell’unità nazionale hanno già lasciato spazio agli egoismi di campanile?

Davanti a un’emergenza umanitaria tutti, non solo le Regioni, devono tenere presente che la priorità è la salvaguardia della vita, alla luce di una visione cristiana e pienamente umana della persona. Per questo, ripeto, la Lombardia farà la sua parte. Chiedo però che siano scelti dei criteri ragionevoli nel dividersi questo impegno.

Qual è la sua proposta?

Il ministro Maroni ha ipotizzato un massimo teorico di 50.000 profughi e ha proposto come criterio per la divisione dello sforzo la popolazione delle regioni. La mia proposta è quella di tenere conto anche di quanti stranieri sono già presenti nei vari territori e dell’indice di affollamento delle città. Non lo dico per tirarmi indietro, ma è giusto sottolineare che la Lombardia ha il 16% della popolazione nazionale e accoglie già il 23% degli stranieri. Sono comunque convinto che si possa trovare una soluzione, un giusto mix tra le proposte del ministro e quelle a cui ho appena accennato. Potremo discuterne già nell’incontro di oggi, quando, tra le altre cose, ci verranno comunicati i siti scelti dalle Prefetture.   

Ad ogni modo, Maroni ha annunciato “azioni di imperio” nei confronti delle Regioni che non collaboreranno?

La sua dichiarazione non mi ha scandalizzato. Con la buona volontà di tutti si potrà evitare, anche perché senza un accordo con il territorio non si va lontano. Questo vale anche per me nel rapporto con i sindaci e i presidenti di provincia lombardi.

Davanti a questa situazione si sente la mancanza dell’aiuto della Comunità europea?

È triste ammetterlo, ma è così. Mi sarei aspettato una solidarietà internazionale immediata. D’altronde, questi profughi non vengono in Italia, vengono in Europa, ed è impensabile che il Vecchio Continente non se ne faccia carico. Le dichiarazioni che ho letto in questi giorni inducono a essere pessimisti, ma mi auguro un soprassalto di responsabilità. Se non ci sarà rischiamo di minare seriamente le basi stesse della convivenza europea.

(Carlo Melato)