«Il quadro politico ha cambiato orizzonte rispetto alle ultime settimane. La discussione sul rimpasto ha preso il posto di quella sulle elezioni anticipate e tutti sembrano convenire: il governo reggerà. Tutte le forze, di conseguenza, sono impegnate nel ripensamento della propria strategia. Purtroppo però, i nodi che andavano sciolti restano ancora tutti da sciogliere. Per questo, a mio parere, si è persa l’ennesima grande occasione». Paolo Franchi inizia la sua analisi con IlSussidiario.net, senza grosse speranze su una nuova stagione di riforme. «L’unico obiettivo che sembra potersi porre il governo è quello di durare, mentre la sinistra per risolvere il dilemma della leadership e della alleanze è di nuovo tornata all’ipotesi del “papa straniero”».



La “frustata” all’economia, la riforma della giustizia e il federalismo alla fine rimarranno soltanto dei buoni propositi?

Le forze che hanno “rimpolpato” la maggioranza negli ultimi tempi dovranno avere la loro ricompensa. Il rimpasto perciò ci sarà e in tempi brevi. Sul piano delle riforme l’unica certezza è il federalismo: anche se a colpi di fiducia si andrà fino in fondo, come è stato promesso alla Lega. Sull’economia e soprattutto sulla giustizia non è ancora emersa invece una strategia chiara da parte del governo. Si procede a tentoni e retromarce verso un nulla di fatto. Il conflitto tra Presidente della Camera e Presidente del Consiglio è invece destinato a durare nel tempo. Un’eterna partita muscolare senza sbocco politico che non farà altro che avvelenare il clima.



Secondo Gianfranco Fini è Bossi il vero premier di questa seconda fase della legislatura.

Il Presidente della Camera in parte ha ragione. La Lega ha evitato la crisi e ora ha in mano le chiavi del governo. Nel Pdl tutti quelli che, in privato, confidano il proprio disagio nei confronti di un partito e di una maggioranza senza più una guida sicura evidentemente hanno perso l’occasione di rimettere tutto in discussione.
Detto questo, Fini da tempo ha perso la sua battaglia. La sua operazione è sembrata fin da subito una pistola con una sola pallottola. Il fatto è che il 14 dicembre la mira ha fatto cilecca. In questi giorni poi ha ammesso il suo più grande errore: lasciare in eredità a Berlusconi la destra italiana. Ora non può certo sperare di riprendersela, al centro Casini ha un grande vantaggio su di lui, se si illudesse invece di seguire Granata e soci sull’ipotesi di una destra che va a sinistra ricorderebbe  malinconicamente Rauti, ma con vent’anni di ritardo…



Quali sono a suo parere invece i treni persi dal centrosinistra?

L’opposizione ha atteso in tutti questi mesi la sua grande occasione, l’“ora x” per dare una spallata risolutiva. In quest’ottica gli interlocutori continuavano a cambiare: Vendola, Fini, Casini e perché no, anche Bossi. La spallata però, ancora una volta, non è arrivata e ora bisogna ricominciare da capo su tutti i fronti: programma, leadership, alleanze. L’unica novità positiva per il centrosinistra viene dai sondaggi: l’asse Pdl-Lega non è più imbattibile. I punti che elencavo prima non sono comunque rimandabili, anche se c’è stato un momento preciso in cui l’alleanza con Casini era a un passo e aveva addirittura l’appoggio di Nichi Vendola.

Perché secondo lei non si è concretizzata?

È mancata, colpevolmente, un’iniziativa politica forte. Il Paese si è retto per più di un secolo sull’asse centro-sinistra, ma questo è potuto avvenire perché la classe dirigente della Prima Repubblica, nei due campi, seppe portare avanti con successo un’“offensiva” politica.  In poche parole: non si può aspettare che il potenziale alleato si risolva finendo di sfogliare la margherita…

E così a sinistra torna a farsi largo l’ipotesi di un “papa straniero” capace di tenere insieme una larga coalizione?

Esatto, anche se è un passo indietro della politica che fa davvero riflettere. Se infatti poteva avere senso per il Pds, partito di ex comunisti, cercare in Romano Prodi il proprio leader, ne ha ancora a quindici anni di distanza, dopo aver costruito il Partito Democratico? Perché quando si prova a immaginare un leader del centrosinistra capace di vincere le elezioni non viene in mente nessuno dei dirigenti democratici? E perché a Napoli gli elettori del Pd dovranno scegliere tra un ex prefetto e un ex magistrato?

Chiaro, ma il “ritorno” di Prodi sulla scena va letto davvero in questo senso o è più probabile che il Professore punti al Quirinale?

Difficile dirlo. La sinistra è decisamente orientata verso il “papa straniero”, ma l’opzione Prodi non mi convince del tutto. Detto questo, il Professore è troppo intelligente per una “falsa partenza” sul Quirinale. Ricorderebbe Fanfani e tutti quelli che si candidarono al Quirinale partendo in largo anticipo per poi restare a bocca asciutta. Starei però molto attento alle parole di De Benedetti: se ha indicato Monti un motivo ci sarà… C’è infine, a mio modo di vedere, un’ultima occasione persa, che pagheremo tutti.

Quale?

Il Pd ha affossato tempo fa la proposta bipartisan Chiaromonte (Pd) – Compagna (Pdl). Un’idea sensata che andava al di là del ripristino sic et simpliciter dell’immunità parlamentare. Bisognerebbe infatti ricordare a tutti quelli che insorgono dicendo che “la legge è uguale per tutti” e che “la Costituzione non si tocca”, che fu lo stesso Costituente a promuovere l’immunità come forma di equilibrio tra poteri. Oggi, per colpa del “caso Tedesco”, l’opposizione non può più tornare indietro e la maggioranza, dopo aver inseguito le leggi ad personam e averci regalato il Parlamento dei nominati, ha le sue gravi colpe. Se si fosse fatto però questo atto di coraggio oggi forse ci sarebbe il clima adatto per ipotizzare un salvacondotto per Berlusconi che ci permetterebbe davvero di chiudere una fase politica senza morti e feriti. Purtroppo è prevalsa la logica del pollice verso e il premier a questo punto ha solo due ipotesi davanti a sé: o rimane asserragliato all’interno del Palazzo o gli si aprono le porte dell’inferno…