Bersani non intende cambiare strategia. Nel Pd si è riaperta la discussione sul “che fare” dopo il fallimento del lungo tentativo di dare la spallata a Berlusconi. Non c’è al passivo solo il 14 dicembre, con il premier che ha trascinato dalla sua parte, con promesse varie, un nucleo di deputati avversari, ma c’è anche lo sfumare dello scioglimento anticipato delle Camere su cui  il segretario del Pd aveva fatto affidamento.



Adesso molti suoi compagni di partito gli presentano il conto e gli chiedono di cambiare strategia.  Il loro ragionamento è stringente: è finita la fase d’emergenza, quindi bisogna rimettere in discussione tutte quelle motivazioni che avevano ispirato la strategia delle alleanze e le tattiche di movimento del segretario. I veltroniani soprattutto vogliono mettere in discussione l’apertura al cosiddetto Terzo Polo. Non si accontentano soltanto di licenziare Fini e Casini, ma rimettono in discussione anche l’ipotesi dell’Ulivo bonsai con Vendola e Di Pietro.



Il loro refrain è sempre lo stesso: bisogna tornare al partito a vocazione maggioritaria, quello che tendenzialmente va da solo. Questa riproposizione della vecchia linea si accompagna al riemergere di Walter Veltroni che sulla Libia è tornato a sferzare i suoi compagni di partito. Si dice che anche D’Alema non sia soddisfatto dell’attuale gestione del partito, anche se appare molto difficile trovare punti di dissenso fra lui e il segretario.

È prevedibile invece che i rottamatori e in particolare Matteo Renzi si facciano più insistenti. Più le elezioni si allontanano, più la loro polemica contro una classe dirigente del Pd, vecchia e segnata da tante battaglie, e soprattutto da  molte sconfitte, rischia di diventare popolare nel partito. Nel quale nel frattempo si apre il fronte del Sud con Michele Emiliano, sindaco di Bari, che ha convocato per  i primi giorni di aprile una sorta di costituente del partito meridionale.



Tornano quindi tutti i temi e tutte le differenze che hanno segnato la storia di questi anni. Il Pd dovrà anche fare i conti non solo con  Nichi Vendola che cercherà di condizionarne la strategia, ma soprattutto con Di Pietro che, con i suoi referendum, cercherà di sottrargli l’iniziativa. In questa situazione di acque agitate si inserisce anche l’idea del settimanale “l’Espresso” di indicare prematuramente Romano Prodi come candidato alla Presidenza della Repubblica.

In questo modo tutti gli ingredienti per la maionese sono pronti sul tavolo ma neppure la bravura del cuoco Bersani può impedire che impazzisca. Il segretario ha da qualche tempo sondaggi favorevoli e sembra poco intimorito dall’assedio dei fratelli-coltelli, ma la sua sembra un’impresa titanica.