“Immigrati al nord? Con cautela…”, bofonchia Umberto Bossi che già fiuta il dividendo elettorale. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, non aveva ancora finito di stilare la nuova mappa – “ho appena messo a disposizione del ministero dell’Interno altri sette siti solo al nord” – che subito il vecchio leone padano si è messo a giocare coi distinguo. Facendo finta di non sapere che in trincea che più trincea non si può in queste ore convulse c’è proprio il “suo” Roberto Maroni, anche ieri ligio al protocollo. “In tempi rapidi – ha spiegato il Viminale – prevediamo la realizzazione di altri siti capaci di accogliere, qualora ce ne fosse bisogno, altri diecimila immigrati. In tutte le regioni italiane a eccezione dell’Abruzzo”. Dunque anche al nord.
Lega una e bina, insomma. Al termine dell’ennesima giornata di fuoco sull’asse Roma-Lampedusa, dopo la riunione della cabina di regia sull’immigrazione e la patata bollente delle dimissioni di Alfredo Mantovano che aprono una crepa dentro ad una maggioranza già in fibrillazione, e alla vigilia del viaggio tunisino di Berlusconi e Maroni, che lunedì proveranno a convincere le autorità di Tunisi a pattugliare meglio le proprie coste. Una Lega divisa tra il ruggito sbiadito di Bossi e la grisaglia istituzionale del ministro Maroni che sulla partita di Lampedusa e dei profughi si gioca una fetta di credibilità e, probabilmente, di leadership futura. Lui lo sa e non lesina energie, incontra governatori di regione, sindaci, studia modelli di accoglienza e di smistamento dei profughi.
Se la divaricazione di qualche settimana fa tra Roberto Calderoli e il titolare del Viminale – e sotto la faglia dei colonnelli tra cerchio magico incarnato da Reguzzoni e Maroni boys era reale – i due tempi leghisti sull’emergenza sbarchi sembrano rispondere di più alle logiche del vecchio copione del partito “di lotta e di governo”. Bossi che parla alla pancia dei militanti, “gli immigrati? fora di ball”, e il ministro di Lozza che interloquisce con l’Europa, con il Quirinale e la diplomazia internazionale. Ma in fondo per il Carroccio, se non sorgeranno complicazioni ulteriori, tutto ciò potrebbe risolversi nel solito gioco win win, a poche settimane dal voto.



Se la crisi dovesse incancrenirsi, se gli sbarchi diventassero un esodo biblico, potrà soffiare sul fuoco del “padroni a casa nostra”, raccogliendo messe di voti in Padania e non solo, e lucrando a quel punto sulla figuraccia del Cavaliere, sconfessato nel suo miracolismo di cartapesta: “Lampedusa libera in 48-60 ore”. Se invece le cose dovessero mettersi bene e l’emergenza rientrare, i Lumbard avrebbero buon gioco a portare in piazza l’effigie di Bobo Maroni, il ministro risolutore, colui che ha gestito con fermezza e pragmatismo l’emergenza nordafricana. “In ogni caso, uno di noi, uno della Lega…”.
Certo fa specie immaginare che uno dei siti dove “scaricare” un po’ di profughi spostati da Lampedusa possa trovarsi, da indiscrezioni, nel comune di Lonate Pozzolo, Lombardia, a due passi da Malpensa, altro simbolo di battaglia leghista. Nel 2008, sulla desertificazione dell’hub di tutte le Padanie, Bossi ci costruì un bel pezzo di campagna elettorale. Lo stesso capogruppo a Montecitorio, Marco Reguzzoni, che è di Busto Arsizio, motivò le proprie dimissioni da presidente della provincia di Varese e il suo approdo in Parlamento con la necessità di difendere Malpensa e i posti di lavoro dalla fuga di Alitalia voluta dalla sinistra. Tre anni dopo, sempre lì nei paraggi, potrebbe esserci  nuovamente materia esplosiva per farsi una bella campagna elettorale. Non più aerei ma carrette del mare, questa volta. A danno del centrosinistra, e dell’alleato rivale Silvio Berlusconi…

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