Batti e ribatti si vota, con ritmi da catena di montaggio, la  prescrizione breve. Per la maggioranza, stretta sui problemi del Cavaliere, la legge è una necessità, per l’opposizione l’ennesima prova di anti-berlusconismo militante. Non c’è tregua su questo fronte perché ogni mischia pare essere, anche se così non  è, quella decisiva.



Il caso Ruby diventa lo scontro finale, o forse è il processo Mills, per cui si impugna il bisturi della prescrizione. Ogni giorno si affastellano accuse e contrroaccuse, ogni giorno le tifoserie si azzuffano, ora perfino davanti al Palazzo di giustizia. I “figuranti”,  come li chiamano con disprezzo a sinistra, tenaci custodi del verbo berlusconiano, e  i “controfiguranti”, figli stanchi dei girotondini di qualche anno fa. L’ossessione giudiziaria ha prodotto, per reazione, una sorta di corte d’assise popolare berlusconiana. Miracoli del rito ambrosiano.



Come finiranno i processi? Una domanda che rotola attutita da giudizi, pregiudizi, precedenti che assomigliano a un tappeto di gommapiuma alto due metri. Difficile che una battuta, anche la più scomposta,  dei protagonisti di questa infinita telenovela rimbombi nell’opinione pubblica. La verità – certificata dai sondaggisti – è che a due terzi degli italiani le sentenze non interessano. Ma arriveranno i verdetti? Quando? Ciascuno ha la sua bussola personale e non si lascia influenzare più di tanto dai dibattimenti che si allungano come elastici nel tempo, e che promettono di essere risolutivi ma risolutivi (almeno fino ad ora) non sono, come non sono state risolutive molte delle leggi varate in fretta e furia dalla maggioranza per tamponare l’emergenza processuale.



Le mischie si svolgono dentro un labirinto di cui non di vede l’uscita. Gli italiani tirano dritto, ciascuno con il suo convincimento. Anche se non è da escludere che alla lunga l’effetto logoramento, la goccia che cade tutti i giorni,  faccia mancare al Cavaliere una parte dei consensi all’appuntamento delle amministrative. Del resto, l’opinione pubblica sente un rumore di fondo che è quello spiacevole del degrado. Testimoniato anche dall’ultimo, ma solo ultimo di una lunga lista, arresto eccellente: quello dell’ex prefetto di Napoli Carlo Ferrigno, travolto da accuse infamanti.

Siamo realisti: la maggioranza non può perdere la sfida della prescrizione breve perché vorrebbe dire che la compagine, già sfibrata da mille tensioni, è entrata in decomposizione. Ma l’obiettivo doveva e dovrà essere, quanto prima possibile, un altro: una legge, al riparo della falce della Corte costituzionale,  che ripristini una robusta immunità per le alte cariche dello Stato.

Il batti e ribatti logora tutti. E non si riuscirà a trovare in altro modo un punto di equilibrio fra le diverse autorità dello Stato in perenne conflitto. Ci vuole un’immunità alla francese, con Chirac processato quando non è più l’inquilino dell’Eliseo. Un’immunità ci avrebbe preservato dallo spettacolo avvilente di processi che si svolgono un giorno sì e l’altro pure per la gioia dei cronisti stranieri che sguazzano nelle accuse più torbide che in patria, fossero rivolte ai loro premier – che so, un Cameron – dovrebbero raccontare, anzi balbettare (almeno all’inizio) dal buco della serratura di regole rigidissime che proteggono le istituzioni.

Speriamo che al più presto si rimetta mano a una legge sull’immunità. E speriamo – sperare due volte è da ingenui, ma pazienza – che la famosa, attesa e necessaria riforma costituzionale cominci la sua navigazione fra gli scogli del Parlamento. Quella riforma darebbe valore aggiunto all’epoca berlusconiana. Le altre leggi sono solo cerotti, talvolta applicati pure male, che non risolvono i problemi. Leggi che servono solo ad andare avanti. Ma è troppo tempo che si pensa solo a tirare avanti.