«La norma approvata ieri alla Camera non si applica né al processo Mills né a quello per il caso Ruby, che vedono coinvolti il presidente del Consiglio Berlusconi». Lo afferma Stelio Mangiameli, docente di Filosofia del diritto nell’Università Tor Vergata di Roma, all’indomani del sì di Montecitorio alla norma sul processo breve. Per l’esperto inoltre «quella approvata è una legge che produrrà effetti minimi, perché mantiene lo stesso tempo di prescrizione stabilito dal Codice penale, limitandosi a non allungarlo di più di un sesto in alcuni casi particolari stabiliti dalla legge».
Professor Mangiameli, che effetti avrà la norma approvata ieri alla Camera sui processi che vedono coinvolto Berlusconi?
Per quanto riguarda il processo Mills, non ne produrrà nessuno. Anche a prescindere dalla nuova norma, è infatti destinato ad arrivare comunque alla prescrizione in base alle leggi già vigenti in precedenza. Il processo Ruby è ancora alle battute iniziali, è difficile dire quale evoluzione potrà avere. Ma ricadendo sotto gli articoli 601-602 del Codice penale, cioè la prostituzione minorile, è un procedimento espressamente escluso dall’articolo 3 del testo approvato ieri sera. E ricordo che nel processo Ruby ci sono circa 200 testi dell’accusa da ascoltare, che corrispondono a 100 giornate di udienza, cioè ad alcuni anni solo per questa fase, per non parlare per esempio dei testi della difesa. Più difficile stabilire quali saranno gli effetti della nuova norma sul processo Mediatrade, che con molta probabilità avrà almeno tre gradi di giudizio e tempi sofisticati.
A prescindere dal fatto che sia o meno una legge ad personam, ritiene che avrà effetti positivi o negativi?
Devo purtroppo osservare che la maggioranza sui temi della giustizia continua a procedere in un modo sbagliato. All’inizio «spara con il cannone», e poi alla fine usa un moschetto di vecchia data. Il disegno di legge uscito dal Senato aveva un ben altro tenore e contenuto rispetto a quello che ha assunto ora alla Camera e che è estremamente modesto. Tutto ciò che fa la nuova norma è modificare i contenuti sostanziali dell’articolo 161 del Codice penale in materia di interruzione della prescrizione. In precedenza, quando si verificavano determinati atti giudiziari, si interrompeva la prescrizione che in questo modo ricominciava da capo. Con la nuova norma, le varie interruzioni possono determinare al massimo un incremento di un sesto della prescrizione stabilita dal Codice penale, la cui durata «base» resta comunque intatta.
Che differenze ci sono rispetto al testo approvato al Senato?
Il testo originario incideva sulla struttura del Codice penale, prevedendo ipotesi di estinzione del processo per violazione dei termini di durata ragionevole. Partiti quindi da un’ipotesi eclatante, ci si riduce a una normetta. Questo modo di procedere sui temi della giustizia da parte della maggioranza denota una forte debolezza. Debolezza nei confronti dell’opinione pubblica, perché non sa spiegare Alla fine ci troviamo di fronte a una difficoltà di fondo nel comprendere come si governa la giustizia.
Ma c’era davvero bisogno di intervenire sulla durata della prescrizione?
Il problema della prescrizione è collegato naturalmente alla struttura di un processo degno di un Paese civile. Non si può tenere una persona sotto il tallone della giustizia per anni e anni. L’articolo 157 del Codice penale fissa dei termini di prescrizione che sono lunghissimi, di gran lunga superiori alla pena massima prevista per il reato di cui si è imputati. Io posso non essere condannato, ma intanto subisco l’azione della magistratura per un numero di anni superiore alla pena massima per quell’imputazione. Questo non è in linea con i principi di civiltà e di uno Stato di diritto. Negli Usa una cosa del genere non sarebbe possibile. In Italia invece deteniamo le persone in attesa di giudizio e poi dopo anni e anni scopriamo che non abbiamo prove sufficienti per condannarle, o che addirittura non sono da condannare.
Ma quali sono le ricadute della prescrizione breve per i cittadini, e in particolare per le stragi di Viareggio e della scuola dell’Aquila?
Le ricadute sono minime, siamo di fronte a un’indicazione che non altera i termini di prescrizione del Codice penale, ma ordina che non possano essere aumentati per più di un sesto. Un sesto vuol dire, con una prescrizione ventennale, altri quattro anni: se uno per un quarto di secolo non è condannato, di quanto tempo ancora ha bisogno lo Stato per decidere se una persona è colpevole o innocente? Quando parliamo di queste cose, dobbiamo ricordarci che un processo implica l’esercizio della forza assoluta dello Stato sull’individuo. Non stiamo parlando né di persone che si sono macchiate di atti rivoluzionari, né di sommovimenti di massa, ma dell’individuo solo dinanzi al potere assoluto dello Stato.
In che senso?
Una condizione di questo tipo è di grande disagio per l’uomo. Devono esserci degli elementi di garanzia, che nella civiltà del diritto sono collegati ai tempi del processo. Mentre che cosa fanno i magistrati? Ti indagano, dopo di che per anni l’indagato non può sapere nulla sull’inchiesta se non attraverso i giornali. E a volte i pm non lo interrogano nemmeno fino alla chiusura delle indagini. E’ un fatto normale? Io ritengo che anche le inchieste dei pm devono avere dati certi, altrimenti ci troviamo di fronte a una giustizia primitiva.
Che cosa ne pensa della proposta di introdurre anche in Italia l’immunità alla francese?
Sarebbe una soluzione positiva. La soluzione più semplice sarebbe ripristinare il vecchio articolo 68 sull’immunità parlamentare, dopo di che al momento del voto i cittadini decidono se un partito ne ha abusato oppure no. Il sistema francese è leggermente diverso, perché riguarda innanzitutto il presidente e soltanto per i reati comuni. Durante il mandato presidenziale, questi processi sono sospesi per riprendere subito dopo. Tanto è vero che in questo momento Chirac passa una parte del suo tempo a difendersi dalle accuse dei giudici, ma nel periodo in cui era presidente nessuno lo ha disturbato. E quando andò al ballottaggio con Le Pen, persino il giudice che lo inquisiva andò a votarlo. Questo per dire il paradosso di una democrazia matura rispetto alla nostra.
Ritiene che quella italiana non sia una democrazia matura?
Questo conflitto in Italia sta logorando il Paese non solo dal punto di vista politico e sociale, ma anche istituzionale. Vi è un annichilimento delle istituzioni. Da una parte vi è Berlusconi e dall’altra alcuni magistrati che lo attaccano, nel centro le istituzioni non hanno più un ruolo. Un’opposizione seria avrebbe un interesse a risolvere questo scontro, perché dovrebbe pensare a battere politicamente Berlusconi, sul piano del gioco politico, e non sperare che il problema della sconfitta di Berlusconi glielo risolvano i magistrati.
La nuova norma passerà il vaglio della Corte costituzionale?
Purtroppo quando parlo di annichilimento delle istituzioni non escludo neppure la Corte costituzionale, la quale ha smentito in passato anche la scelta del presidente della Repubblica di promulgare una legge, basandosi su una precedente sentenza della Corte stessa. Che la Consulta non sia un consesso neutrale deriva dal modo in cui è composta e dalla qualità dei suoi componenti. Berlusconi ha delle responsabilità, perché non sempre ha mandato alla Corte costituzionale personale di prim’ordine. Se avesse gestito in modo più oculato Parlamento e Corte costituzionale, tante questioni sarebbero state risolte in modo diverso.
(Pietro Vernizzi)