Nel 1970 frequentavo il primo anno di liceo classico al Manzoni di Milano. Da sempre anticomunista ed antifascista, giovane socialista riformista, decisi di partecipare ad una manifestazione, una delle mille di quei caldi giorni, che si snodava da via Orazio, storica sede del liceo, fino alla piazza antistante l’ingresso dell’Università Cattolica, in largo Agostino Gemelli.



Lungo il percorso il corteo di studenti venne ad incrociarsi con una manifestazione dei metalmeccanici. Un operaio del Tecnomasio Italiano Brown Boveri, in tuta blu e con basco, amico e collega di mio padre, sindacalista della Uil metalmeccanici alla stessa TIBB, storica fabbrica metalmeccanica, mi riconobbe e mi apostrofò in dialetto milanese con una frase che qui riporto tradotta in italiano: “Ehi, pirla, che ci fai con questi borghesi? Va in classe e studia che tuo padre ne fa di sacrifici per mandarti a scuola”. La frase mi colpì, non tanto per il riferimento ai sacrifici di mio padre ( i giovani spesso se ne dimenticano, non facevo eccezione), quanto per il riferimento alla classe borghese, contrapposta in quel momento storico alla classe operaia.



Capii sulla mia pelle che la contestazione nelle scuole e nelle Università non aveva il consenso di quegli operai coi quali avremmo voluto identificarci. Quel mancato appoggio alle cosiddette élites intellettuali che fiancheggiavano le Br, negli anni successivi, quelli più oscuri del terrorismo, gli anni cosiddetti “di piombo”, salvò l’Italia dal disastro totale.

Che c’entra questo ricordo personale con il professor Asor Rosa ed il suo articolo di lunedì scorso sul Manifesto in relazione alla necessità della creazione di uno stato di emergenza nazionale con Carabinieri, poliziotti e giudici pronti a salvare la patria dal berlusconismo?  Asor Rosa è esplicito: chiede che il Parlamento venga congelato a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza e che il governo del paese sia letteralmente occupato dalle forze dell’Ordine e dalla magistratura.



Ebbene, sempre allora incominciai a ragionare e a capire che molti di noi giovani studenti, pieni di passione e di legittimo desiderio di cambiamento, saremmo stati nel tempo plagiati e imbrogliati dai soloni dei salotti radical chic, ricchi borghesi frequentatori di belle case in centro ( io abitavo in periferia, verso Niguarda), con ricche tenute in campagna, abituati a prendere il sole di Capalbio, sempre pronti a dire: “Armiamoci e partite”. Veri e propri mistificatori. In quei salotti, alla fine degli anni Settanta, verrà decretata la condanna a morte della mia prima icona professionale, Walter Tobagi.

Asor Rosa, invocando uno Stato di polizia, parla come un fascista. O come un vecchio comunista. Ideologie, entrambe, che fanno parte del ciarpame che ha oscurato gran parte della storia del secolo scorso.