«Berlusconi a Milano si gioca tutto». Gianluigi Paragone ne è convinto: la partita che si combatte all’ombra della Madonnina ha una valenza nazionale ed esprime tutti i nodi irrisolti della politica italiana, a cominciare dai manifesti anti-pm e dal ritiro dalle liste (simbolico e tecnicamente impossibile) di Roberto Lassini. «D’altra parte – prosegue Paragone -, il racconto della Seconda Repubblica è iniziato qui, in una città che ha sempre anticipato i tempi della politica italiana. Qui il premier si candida capolista, in una stagione tormentata che vede la Procura di Milano ricoprire un ruolo d’opposizione quasi più importante di quello del centrosinistra. Ad ogni modo non ci sono dubbi: il Cavaliere ha ormai puntato tutte le sue fiches. Al suo posto però starei in guardia. L’elettorato è stanco, dopo 15 anni di discussioni sulla giustizia non vede ancora una riforma compiuta all’orizzonte e capisce che gli interventi strutturali sono stati sacrificati per questo motivo».
Qual è il suo giudizio sul “caso Lassini”? I giornali parlano di un Berlusconi isolato e amareggiato nel constatare che il partito, tranne i soliti falchi, abbia seguito senza indugi il Presidente Napolitano in una condanna che in realtà aveva lui come vero bersaglio.

Questa vicenda, a mio avviso, è il frutto avvelenato di una stagione molto delicata. C’è poi un equivoco di fondo: Berlusconi, lo sanno anche le pietre, ha un conto aperto con la magistratura, ma riesce a dargli un risvolto politico. Questo, in ogni caso, non autorizza altri esponenti a usare lo stesso tono del Cavaliere.
A parziale discolpa di Lassini, bisogna dirlo, c’è la sua vicenda personale di “vittima della giustizia italiana”. Quando però i due piani si sovrappongono cominciano i problemi anche perché scrivere “Via le Br dalle procure” non è soltanto uno strafalcione di grammatica politica, ma soprattutto un grave errore storico. Certe parole non si possono usare superficialmente come se fossero utili etichette per i cattivi. Quella terribile stagione infatti non è stata chiusa definitivamente e, ogni tanto, riemerge dal sottosuolo.



Il Presidente del Consiglio, secondo lei, è comunque determinato ad alzare il livello dello scontro?

Direi di sì. Se si inizia però una fuga solitaria poi non bisogna stupirsi di rimanere isolati. Quando infatti si obbliga il Parlamento, com’è accaduto, a varare leggi ad personam per difendersi da processi che si considerano, anche se giustamente, contra personam, alla fine uno non può che ritrovarsi solo. Quello della giustizia era un tema da affrontare in termini universali, dal punto di vista del cittadino.

Per ottenere le riforme che oggi mancano all’appello si sarebbe dovuto costruire un asse con il Quirinale?

In realtà Berlusconi aveva un altro disegno in mente. Forte del suo carisma personale, infatti, aveva iniziato un percorso che prescindeva dal Quirinale, scrivendo nei fatti una pagina importante di questo Paese in termini di costituzione materiale. L’obiettivo era il presidenzialismo, che poteva prendere poi diverse forme. Purtroppo siamo rimasti a metà del guado: da una parte abbiamo un carisma in fase calante, dall’altro una Costituzione immutata.

E come sta vivendo secondo lei la Lega Nord questo delicato momento della legislatura, sia a livello di dirigenza che di base?

La Lega continua a insistere sui suoi temi chiave: federalismo e immigrazione, quest’ultimo sia in termini di sicurezza che di difesa dell’identità. Tutto sommato, in questo modo il partito mantiene una certa solidità. In più la sua forza alle amministrative è risaputa, anche perché la sua scelta strategica fin dall’inizio è stata quella di puntare sulla maturazione di una classe dirigente locale. L’opposto di Berlusconi, che invece si è accollato il peso a livello centrale, certo di poter ridistribuire a cascata i frutti della sua leadership.
Tornando al voto milanese, di certo l’elettorato leghista è un po’ estraneo, se non “allergico”, al mondo di Letizia Moratti. La base leghista non è, come ha scritto frettolosamente qualcuno, il “proletariato del centrodestra”, ma di certo non c’è totale aderenza tra questi due mondi. Non penso comunque che il Pdl abbia qualcosa da temere su questo fronte: il patto con la Lega è solido e ancorato ad altro.

Dal voto del 15 maggio passa la sopravvivenza della legislatura? Il governo le sembra in grado di arrivare al 2013?

Le comunali sono un appuntamento fondamentale, ma sono convinto che la legislatura non arriverà comunque alla sua naturale scadenza. Basta osservare i processi decisionali del governo: la partita del nucleare è stata chiusa per paura dei sondaggi, delle amministrative e del referendum. Non si può interrompere così la programmazione della politica energetica nazionale, né tantomeno promettere la riduzione del numero dei parlamentari per poi trovarsi a inseguire Scilipoti, Razzi e Saverio Romano. La verità è che bisognava tornare dagli elettori subito dopo la rottura di Fini. 

E Alfano? La convince come delfino e come prossimo candidato premier del centrodestra?

Certo. È un politico giovane su cui punterei, l’importante è che inizi a parlare di politica e si smarchi da questo ruolo di legislatore salva-premier. Se lo fa potrebbe convincere anche la Lega, anche perché non rappresenta il Meridione assistenzialista, ma un Sud volenteroso e pieno di voglia di fare. Non è certo un problema di latitudine, anche Umberto Bossi ha sposato una siciliana…