La maionese è impazzita. L’oscuro deputato marchigiano Ceroni si ripropone, giusto per segnalarsi agli occhi del premier, di inserire la centralità del Parlamento all’art. 1, ma in realtà meglio avrebbe fatto – per esplicitare il suo obiettivo – a parlare di centralità della maggioranza e del governo, visto come è messa oggi l’istituzione parlamentare, costretta di fatto a operare come organo di ratifica dei provvedimenti dell’esecutivo. E dunque l’obiettivo della strampalata proposta altro non era se non quello di salvaguardare questa funzione di ratifica acritica di fronte ai rischi di mancata promulgazione dei provvedimenti da parte del Capo dello Stato.



C’è poi il temerario Lassini che si inventa un manifesto, con l’analogo intento di compiacere il premier che aveva parlato di magistrati eversivi, e poi inscena una telenovela tutt’altro che conclusa sulle dimissioni promesse – rinviate – impossibili – col rischio che il delicatissimo ballottaggio che si profila a Milano potrebbe giocarsi proprio su questa oscura figura destinataria (siamo pronti a scommetterci) di un cospicuo quanto imbarazzante numero di consensi.



Infine Tremonti. Diciamola tutta, la figura del ministro dell’Economia inizia ad essere e non da oggi un po’ ingombrante, per non dire altro, agli occhi di Berlusconi, ma il premier sa anche che con lui deve limitarsi agli sfoghi privati con i fedelissimi, troppo importante è diventato infatti il ruolo di Tremonti, non solo per la tenuta del rapporto con la Lega, ma soprattutto, simbolicamente, per la tenuta dei nostri conti, dove lui spende in maniera anche ostentata la sua figura sul piano internazionale al cospetto di un crollo verticale di credibilità delle nostre istituzioni per le ragioni che tutti sanno.



Berlusconi dal canto suo, assediato com’è da una lotta senza quartiere della magistratura milanese contro di lui, si vede costretto a privilegiare, comprensibilmente, obiettivi di sopravvivenza che si chiamino processo breve o amministrative, rispetto ai grandi temi enunciati e mai perseguiti.

Gli errori politici commessi a inizio di una legislatura che gli ha tributato una maggioranza senza precedenti arrivano dunque al pettine, forse in maniera irreversibile. Il grande successo elettorale per quella che doveva essere una legislatura costituente conteneva un vulnus di cui Berlusconi o qualche consigliere meno compiacente si sarebbero dovuti rendere conto. Non c’era in Parlamento l’autosufficienza dei due terzi per fare quelle riforme incisive necessarie al Paese, ma anche al Silvio Berlusconi imputato. E non c’era, malgrado tutto, nel Paese una maggioranza, dal punto di vista sociale e aritmetico, in grado di assecondare con un referendum confermativo riforme adottate con un quorum minore in Parlamento.

Tecnicismi direte voi, ma è esattamente su questo punto che si è andata ad arenare la barca della maggioranza. In questa situazione sfilacciata, infatti, su ogni questione per il premier e per la sua maggioranza si sono poste nel tempo due alternative: o arroccarsi, motivando i propri tifosi nel blocco sociale e politico più significativo presente nel Paese (Pdl e Lega) o abbassare i toni con intento inclusivo nei confronti di altre aree più moderate o che ingrossano le fila degli esasperati da questa politica guerreggiata.

Di fatto, proprio la crescente quota di astenuti rende più facile per una minoranza strutturata e organizzata (intorno al 40%) vincere ogni competizione elettorale. Ma l’esito è disastroso, questa minoranza aritmetica che diventa maggioranza elettorale e politica (legittimamente) altrettanto legittimamente non ha i numeri per fare le riforme. È questa situazione che produce da un lato i dilettanti allo sbaraglio che intendono ergersi a paladini del berlusconismo e dall’altro i Tremonti necessari alla tenuta di un Paese che vacilla pericolosamente. Il Parlamento si balocca in un’apparente inconsapevolezza della drammaticità della situazione (in realtà lontani da telecamere e microfoni in molti se ne mostrano consapevoli, ma si guardano bene dal dirlo ufficialmente). Il Paese invece, che ne è consapevole, ma anche esterrefatto, non vede né è in grado di fornire alternative. Salvo a inscenare qualche improbabile manifestazione di protesta con lanci di monetine persino svogliati addirittura (se avete visto le immagini) scegliendo quelle di minor valore: non c’è nanche più l’indignazione di una volta.

Ad alti livelli si percepiscono grandi manovre in corso: la Marcegaglia che attacca il governo che l’ha lasciata sola e così rinsalda l’amicizia con il “nemico” Montezemolo, che queste critiche le porta avanti da tempo. Della Valle, che ha sempre legnato contro il governo, che si dà a un attivismo sempre maggiore promettendo a spese sue, fra l’altro, di restaurare il Colosseo.
Dove vogliano andare a parare e se vogliano farlo insieme non è ancora chiaro, ma lo capiremo nei prossimi mesi, per ora tocca registrare l’apertura di Pier Ferdinando Casini (che vuol dire anche Caltagirone), non casualmente sul Corriere della Sera, all’ipotesi Montezemolo.

Tutti sanno, almeno nel Palazzo, che se si andasse oggi a votare l’attuale maggioranza certamente non sarebbe tale più al Senato per la nascita del Terzo Polo e questo ha reso un’arma spuntata la minaccia elettorale fino a pochi mesi fa adoperata da Berlusconi per riprendere lo scettro del comando in pieno. E non è un caso che in questi giorni trapela l’idea di un progetto per modificare appunto la legge elettorale del Senato, con un provvedimento però a forte dubbio di costituzionalità.

È un quadro confuso quanto veritiero. Intanto i veri eroi di questo Paese restano le famiglie e le piccole imprese, il cui grido di dolore però quasi non si avverte più, quasi che ognuna di queste cellule vitali della nostra Italia avesse smesso di sperare in una soluzione dettata dal bene comune, ripiegando in un impegno, eroico appunto, ma unicamente privato.

Ma, bisogna essere consapevoli che quella nuova generazione di cattolici evocata dal Papa e poi anche da Bagnasco e Bertone, gli uomini di buona volontà, hanno in mano in realtà il futuro del Paese. Un Paese che sembra non dare più speranze ai giovani perché non ha più una speranza da trasmettere in realtà. Ci vorrebbe un miracolo e forse è arrivata l’ora di attrezzarsi.