Mentre continua il tentativo di rovesciare il governo per via extraparlamentare, come se certa stampa e certa magistratura esprimessero la volontà popolare, chi è chiamato a governare, invece di farlo con serietà, preferisce attizzare, insieme a un’opposizione rissosa, un clima di scontro continuo. Il risultato è che anche il senso delle prossime consultazioni elettorali viene stravolto, mentre sembra che un’azione politica consista nell’operare, più o meno ideologicamente, una scelta di campo tra schieramenti, a prescindere da come vengono trattati i contenuti. Invece, anche nella prossima tornata elettorale, proprio sui contenuti si giocano concezioni contrapposte che determinano pesantemente la nostra vita quotidiana.
Come recita un recente volantino della Cdo, il bene per tutti e per ciascuno si costruisce facendo delle nostre città luoghi per una convivenza fra persone libere e interessate al bene comune, alla ricerca della giustizia e della bellezza, aperta alla solidarietà e alla carità. Per questo, continua la Cdo, le sfide sono enormi: migliorare i servizi alla persona basandoli, laddove è possibile, sulla libertà di iniziativa e di scelta; saper rispondere ai bisogni dei meno abbienti e dei malati; riequilibrare aree produttive, abitative (tante case sfitte e mancanza di abitazioni per giovani, anziani, studenti, meno abbienti), e aree verdi fruibili (non un verde frazionato in piccole inutili aiuole); garantire trasporti senza inquinamento; garantire servizi di buona qualità e a un prezzo non esoso a riguardo di gas, acqua, energia, raccolta rifiuti; garantire servizi educativi, ricreativi, sportivi; difendere e promuovere cultura e arte che tanta importanza hanno nelle nostre città, non solo per scopi turistici. La sfida è immane, in un momento in cui il federalismo fiscale municipale dovrebbe costringere i comuni a diminuire i loro sprechi.
Gli orientamenti ideali con cui vengono operate le scelte sono sinteticamente tre. Il primo è il vecchio statalismo, che per qualcuno sembra non tramontare mai, e per qualcun altro pare rappresentare la possibilità di un nuovo potere locale.



Secondo questa impostazione, l’amministrazione pubblica dovrebbe, da sola, rispondere a tutti i bisogni di ordine pubblico, gestendo direttamente ogni servizio di cui ha responsabilità, mentre ogni intervento privato o di realtà sociali viene bollato come fonte di distorsione dei fondi pubblici e contro l’interesse della gente, soprattutto povera. Il regime statalista vigente nel nostro Paese da decenni ha invece prodotto deficit di bilancio ormai non più sostenibili, inefficienza e scarsa qualità dei servizi, sacche di rendita e strapotere di politici tanto pieni di promesse, quanto incapaci di far fronte ai compiti cui sono chiamati.
Il secondo orientamento è quello della privatizzazione selvaggia, che vede nelle mere dinamiche di mercato le forze capaci di dare risposta ai problemi. Tale impostazione non considera il fallimento delle prime privatizzazioni nel nostro Paese (bipartisan!), la responsabilità di queste idee nella crisi finanziaria degli ultimi anni e, soprattutto, che certi beni sociali non possono essere amministrati massimizzando un utile d’impresa da dividere fra gli azionisti. 
Un terzo ordine di criteri con cui gestire la “cosa pubblica” è quella della sussidiarietà solidale, che comporta un’alleanza tra ente pubblico, privati e realtà sociali e sottolinea la valorizzazione dell’iniziativa operosa di tutti per il bene comune. Questa è la strada che ha permesso nei secoli, ad esempio a Milano, uno sviluppo diffuso, attraverso l’accoglienza di immigrati da tutto il mondo, che hanno saputo integrarsi e diventare milanesi. Nel capoluogo lombardo – che vale come esempio di un modello vigente in molte altre città e paesi italiani – in epoche diverse, realtà di privato sociale non a fine di lucro come la Ca’ Granda (Ospedale Maggiore), la Banca Popolare di Milano, la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, l’Umanitaria, le Società di mutuo soccorso, il Don Gnocchi, oppure realtà culturali nate non pubbliche come la Scala o il Piccolo Teatro, realtà universitarie come la Bocconi o la Cattolica, si sono affiancate agli imprenditori “storici” che hanno fatto le grandi imprese milanesi. 



Oggi, nuove realtà di doposcuola gratuito come ad esempio quello delle suorine dell’Assunzione di Martinengo o Portofranco, di aiuto agli extracomunitari come la Casa della Carità, di nuova formazione professionale libera come la Galdus, di supporto ai lavoratori precari come la recente FeLSA Cisl e i suoi patronati, di aiuto ai meno abbienti, come la rinnovata rete della Caritas e i Banchi alimentare, informatico, farmaceutico, di somministrazione di cure palliative come la Fondazione Floriani o la Maddalena Grassi, permettono quella solidarietà nella sussidiarietà senza cui ci sarebbe molta più ingiustizia. 
La rete di ospedali privati e privati non profit, insieme agli ospedali pubblici, grazie anche alla libertà di scegliere dove curarsi, fa sì che gli utenti esercitino il diritto alla salute con risposte di livello internazionale e senza lunghe attese. Le numerose associazioni di categoria e sindacali supportano le miriadi di piccoli e medi imprenditori, che nel declino della grande impresa, hanno consentito un diverso sviluppo che non avesse conseguenze negative per l’occupazione.



L’amministrazione comunale, quando si è mossa intelligentemente, non si è opposta, anzi ha aiutato il crescere di tali iniziative dal basso. Ad esempio, il nuovo Piano del governo del territorio, sostituendo una logica pianificatoria che paradossalmente ha portato a una cementificazione disordinata della città e puntando sul dialogo tra Comune e operatori, prevede l’espansione dell’housing sociale per giovani, anziani, studenti, meno abbienti (vedi ad esempio i molti interventi della Lega delle Cooperative e delle Acli), il riordino della città con l’ampliamento delle grandi aree verdi e servizi pensati non a tavolino ma in dialogo con le diverse zone (equiparando i servizi gestiti da realtà sociali e pubblici). 
Questi brevi spunti possono aiutare a formulare un criterio per orientarsi nel voto alle prossime amministrative che non le riduca a squallidi referendum ideologici: chi può garantire il cambiamento necessario secondo quella sussidiarietà che valorizza il contributo di tutti, enti pubblici, privati, realtà sociali per il bene di tutti?