«Ho parlato con Bossi, la linea della Lega sulla questione della Libia non cambia, ed è quella espressa ieri dal segretario e riportata oggi dalla Padania». Con queste parole il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha confermato che la ferita nei rapporti tra Lega e Pdl è ancora lontana dall’essere sanata, al termine di una giornata che ha visto slittare a data da definirsi il Consiglio dei Ministri. «Noi non cambiamo idea da un giorno all’altro», ha dichiarato senza mezzi termini Maroni, definendo tra l’altro “inevitabile” un passaggio parlamentare sulla vicenda. «È evidente che ci troviamo davanti a un problema politico di fondo, a cui non sembra esserci una soluzione immediata – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net -. Nel rapporto tra i due grandi partiti del centrodestra, infatti, la mediazione di Berlusconi dimostra di non essere più in grado di sciogliere tutti i nodi che si sono venuti a creare. A questo punto il voto delle amministrative si carica ancor di più, se possibile, di una chiara valenza nazionale ed è destinato a incidere pesantemente sugli equilibri interni ed esterni alle coalizioni».
I malumori della Lega per l’impegno militare in Libia sarebbero perciò soltanto la punta dell’iceberg di un disagio più profondo?
Direi di sì, la tensione è palpabile su diversi argomenti: immigrazione, nucleare, una campagna elettorale nel capoluogo lombardo impostata dal premier come un referendum pro o contro la sua persona, il “caso Lassini”, i continui attacchi alla magistratura che Bossi subisce, ma non gradisce. Se poi Berlusconi durante l’ultimo vertice fa pure notare alla Francia che noi stiamo subendo un’immigrazione pari solo a un quinto di quella che subiscono loro, è ovvio che nel Carroccio non siano contenti. La base leghista è sempre più irritata e Bossi non ha ancora tra le mani un’alternativa. Tutto questo indubbiamente sta facendo salire la tensione.
Per la “resa dei conti” bisognerà aspettare quindi il 15 maggio?
Il risultato delle urne inciderà certamente sugli scenari futuri. Sono infatti convinto che la Lega non voglia far cadere il governo per l’invio di otto aerei in Libia e che la sua posizione abbia ancora un duplice sbocco politico possibile: il partito di Bossi potrebbe aver inviato questi segnali sia per prepararsi a una nuova fase di isolamento sia per poter rinegoziare un rapporto di alleanza da farsi pagare a caro prezzo.
Detto questo, a differenza di qualche scaramuccia del passato, non si può non notare un certo logoramento nei rapporti interni al centrodestra. Berlusconi è al centro della scena da 17 anni e Bossi inizia a non vederci chiaro, anche perché i risultati che può vantare sono assai modesti. Al di là di quanto durerà la legislatura, c’è perciò un dato politico evidente.
Quale?
Non esiste più una maggioranza politica. Se l’alleato più importante del Presidente del Consiglio al termine dell’incontro tra Berlusconi e Sarkozy dichiara “siamo una colonia francese” non credo infatti che abbia ancora senso ragionare di maggioranza numerica, di rimpasti rinviati o di transfughi acquisiti. Il risultato del vertice si può certamente discutere, e a mio avviso non è stato né disastroso né brillante, ma i toni usati non lasciano dubbi in questo senso. Se la partita si giocherà ancora una volta tutta nel campo del centrodestra, sarà soltanto perché l’opposizione è riuscita a dividersi anche in un frangente simile.
Il centrosinistra torna però ad attaccare compatto sul tema del nucleare.
A questo proposito devo dire che le dichiarazioni di Berlusconi effettivamente mi hanno stupito. Se ragioniamo nei termini di una comunicazione politica tradizionale, un premier non avrebbe mai dovuto dire che la moratoria era soltanto uno stratagemma che aveva solo lo scopo di congelare la discussione per riproporla qualche anno dopo.
D’altra parte, anche in passato Berlusconi ha dimostrato di voler seguire logiche diverse e probabilmente oggi non vuol rischiare di compromettere il rapporto con la Francia e con i possibili investitori.
Ci aspetta perciò un finale di campagna elettorale all’insegna dello scontro tra schieramenti e di quella “scelta di campo” che, come ha scritto ieri Giorgio Vittadini, rischia di stravolgere il senso delle prossime consultazioni elettorali?
Purtroppo sì. Condivido infatti la preoccupazione presente nell’articolo di Vittadini: porre ancora una volta al centro della contesa elettorale il tema della sussidiarietà penso che sia necessario perché è su questo che si decide la possibile fuoriuscita da uno statalismo soffocante. È un appello che dovrebbe interrogare tutte le forze politiche spingendole a confrontarsi sul futuro di uno stato moderno che non voglia essere costantemente soffocato dal debito e che abbia intenzione di trovare nuove strade di sviluppo, uscendo dagli schemi classici che ci hanno condotto a queste strettoie.
Il voto amministrativo dovrebbe riguardare i problemi reali più che l’odio e l’ideologia. Se i candidati lo terranno presente sarà il modo più onesto che avranno di rivolgersi ai propri elettori.
(Carlo Melato)