Si stava accingendo a condurre, come tutti i pomeriggi, una nuova puntata de La Vita in diretta, quando si è sentito male. Era stato colpito da un’emorragia celebrale. Da allora, era il 29 aprile, Lamberto Sposini giace sospeso tra la vita e la morte. Sottoposto ad un delicatissimo intervento chirurgico, ora risponde agli stimoli, ma è in coma e le sue condizioni sono critiche. Non si sa se, quando e, soprattutto, come si risveglierà; un dramma umano di proporzioni infinite. Nel quale Sposini stesso, – nella sua condizione da sano -, diceva che se mai vi si fosse ritrovato, avrebbe preferito morire piuttosto che esser vittima dell’accanimento terapeutico.



L’onorevole Melania Rizzoli, che in trasmissione era stata invitata più volte, proprio a dibattere di fine vita e testamento biologico, in una lettera inviata a Libero, si è detta convinta rispetto alla posizione di Sposini, di una cosa: «Sono cose che si dicono da sani» e ha aggiunto: «da deputato, che a breve si troverà a votare la legge sul testamento biologico, rifletto su questa storia che conferma che anche nel frangente più drammatico di un caso clinico acuto, c’è sempre una speranza, ed è solo il medico che ha il compito, il dovere e la responsabilità di decidere, e non una rigida legge, qualunque essa sia». La lettera della Rizzoli ha scatenato non poche polemiche. L’onorevole, in particolare, è stata accusata di avere sfruttato l’episodio con finalità politiche e di avere rivelato il contenuto di un colloquio con il medico del conduttore televisivo, rivelando al contempo il quadro clinico del giornalista.



Cosa risponde a chi la accusa di avere voluto strumentalizzare la vicenda di Sposini?

La mia lettera a Libero era una riflessione che, dalla vicenda di Lamberto Sposini, prendeva semplicemente spunto. Io non ho raccontato nulla che non fosse già pubblico. Era lo spunto per ricordare quello che ci apprestiamo a votare in Aula, senza alcuna rivelazione o polemica. Io sono un medico, e non potrei mai rivelare dettagli che non fossero già noti.

Che rapporto aveva con lui?

Il mio rapporto è quello che ho descritto. Sono stata invitata due o tre volte al suo programma, dove abbiamo dibattuto sul tema del fine vita, esprimendo due posizioni differenti.



 

Ebbene, qual è la sua?

 

Ho lavorato dieci anni in un dipartimento oncologico, spesso anche con malati terminali, e ho visto che quando si è vicini alla fine, difficilmente si auspica la morte. Io stessa sono stata sul punto di morire. Più volte. Avevo una malattia del sangue gravissima e ho dovuto subire un trapianto di cellule staminali. Prima, quando stavo in ospedale e andavo nei centri di rianimazione, guardando i pazienti in coma o in stato vegetativo, dicevo a miei colleghi: “se mi dovesse capitare una cosa del genere, non lasciatemi in quella situazione, ma aiutatemi a morire”. Poi, quando mi sono trovata realmente sul punto di morire (e da medico comprendevo ancora meglio a cosa stessi andando incontro), avevo un unico desiderio: quello di vivere. Io ho scritto quella lettera proprio ripensando alla mia esperienza. Si è trattato dell’occasione per mettere a fuoco quanto sta avvenendo alla Camera. Voglio precisare, tuttavia, un punto: Sposini non c’entra nulla col testamento biologico. Spero, infatti, che tra una settimana si sveglierà completamente.

 

Crede che la legge passerà alla Camera?

Sicuramente. E, sebbene alcuni di noi si asterranno, sono convinta che la legge sarà votata da molti deputati dell’opposizione. Anche se si tratta di una legge che nessuno avrebbe voluto. Il fine vita, infatti, è una questione delicatissima, e ogni caso clinico è diverso dagli altri. E’ quasi impossibile blindare un fine vita in alcune linee guida di una rigida legge. Ma, proprio il caso di Eluana ha reso necessario fissare dei punti perché si eviti, in futuro,  che un qualunque tribunale si sostituisca al legislatore e che decida per il cittadino e per il paziente.

 

A proposito, cosa ne pensa del caso Englaro?

Per la prima volta in Italia un tribunale amministrativo ha dato l’autorizzazione alla soppressione della vita di un paziente che, per la medicina, ero vivo. E’stato autorizzato un medico ad attuare una forma di eutanasia omissiva, con la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione; questo ha fatto sì che il medico e lo stato contravvenissero al dovere inderogabile di curare le persone in tale situazione; tanto più che, paradossalmente, è le medicina stessa a provocare quella condizione…

 

Cosa intende?

 

Chi ha più di 50 anni non ricorda nella sua adolescenza persone in questo stato, perché semplicemente non esisteva. Prima, si moriva. Ora, per effetto di tecniche di rianimazione potentissime, rianimiamo anche quei pazienti che si trovavano sul filo della morte. Quelli che sono andati in sofferenza celebrale per tante ore, per più di una o due, spesso non si risvegliano. Ma è un calcolo che il medico rianimatore, mentre compie il suo dovere,  non può fare. Quando rianimiamo i pazienti, li rianimiamo tutti. Se su 100, uno non si risveglia, non possiamo certo sopprimerlo. Anche perché quel paziente, clinicamente, è vivo, non è in uno stato di morte celebrale.  Bisogna ricordare che lo stato vegetativo si evidenzia quando il coma si esaurisce.

 

I detrattori del testamento biologico sostengono che la legge rappresenti un diktat delle gerarchie vaticane. O che, quantomeno, la difesa della vita “a oltranza” è una posizione squisitamente cattolica, che attiene la sfera religiosa personale e non dovrebbe intaccare quella politica. Qual è la sua opinione, in merito?

 

Io, prima di essere una cattolica e una politica, sono un medico. E ho dedicato la mia vita alla sofferenza e alla malattia e sono stata addestrata e abilitata a custodire e a proteggere la vita, non a sopprimerla. Non posso che essere contro ogni forma di eutanasia, quindi, anche quella omissiva. Non potrei mai sopprimere un paziente. E, soprattutto, io, la flebo al paziente, la tolgo quando il paziente è morto. Togliere l’idratazione è una semplice crudeltà, che è mio compito evitargli in tutti i modi.