E’ tempo di molte parole e di frasi a effetto sui media. Si scrive in genere di “stato di tensione”. Dopo le amministrative di metà maggio, sembra che i media siano concentrati sul risultato dei ballottaggi a Milano e a Napoli del 29 maggio. I media fanno il loro lavoro (spesso male) e registrano in ogni caso una parziale verità sui fatti e sugli umori dell’opinione pubblica. Al momento sembrano in trepida attesa di mettere il sigillo sul tonfo del berlusconismo a Milano e sulla ipotizzata e favorita vittoria del centrodestra a Napoli prima del 15 maggio, raffigurando i due fatti come una svolta epocale.
Ma anche se la bandiera di Letizia Moratti sarà ammainata a Palazzo Marino e non sarà issata quella di centrodestra a Palazzo San Giacomo a Napoli, non saranno finiti i guai italiani. E’ una visione schematica, che non appartiene solo ai media italiani e stranieri. Ne è una prova che il più semplicistico dei pensatori deboli, Alberto Asor Rosa, riesce a immaginare che, togliendo di mezzo Silvio Berlusconi con un colpo di stato, si può risolvere il problema italiano.
In realtà l’impressione è che, con il voto di metà maggio, siano stati definitivamente devastati gli argini di un fiume disordinato e in piena che rappresenta la politica italiana dei “fondatori” della cosiddetta Seconda Repubblica. Hanno tentato, con una visione culturale provinciale, di modificare gli schieramenti italiani, semplificandoli secondo uno schema anglosassone. Di fatto, i “fondatori” li hanno moltiplicati questi schieramenti inserendovi pure cunicoli inspiegabili. Oggi, tra gli altri, esiste in Italia un “ex” comico che ha raggiunto il 10 percento in una città amministrata da oltre mezzo secolo dalla sinistra (la “dotta” Bologna) che predica su tutto e su tutti con una perentorietà inquietante. C’è un ex magistrato di “cause perse” (dichiarazione di alcuni suoi stessi colleghi) che distrugge l’opposizione a Napoli, che non lo voleva candidato, e insidia il candidato di centrodestra nella corsa alla poltrona di sindaco. Con toni differenti e più sobri, anche l’avvocato Giuliano Pisapia a Milano è riuscito a sconfessare prima del voto la nomination della sua parte politica e guida, al momento, la corsa su Letizia Moratti. Pisapia non è certo un novello “Masaniello”, ma è il referente al Nord del movimento di Nichi Vendola, del “vendolismo”, della contestazione da sinistra della sinistra ufficiale italiana, il Partito democratico, gli eredi del vecchio Pci, e dei loro “compagni di strada”, i catto-comunisti o cattolici di sinistra.
La sensazione è che la situazione sia “scappata di mano” a tutti e si affermi a tutto campo la linea dell’anti-politica perseguita con tenacia negli ultimi venti anni. Vista in questo contesto la situazione italiana non si caratterizza solo con il berlusconismo, che può essere considerato alla fine un epifenomeno di un disastro politico e antropologico molto più vasto.
In altre occasioni un’altra ventata di antipolitica si è affacciata in Italia. Ma in genere gli italiani, se non in alcune drammatiche circostanze della loro storia, hanno sempre fatto scelte indispensabili e decisive. Nell’immediato dopoguerra, una classe dirigente capace e compatta riuscì a vanificare realtà come l’“Uomo qualunque” di Gugliemo Giannini e il “Partito della bistecca” di Corrado Tedeschi. Movimenti apertamente qualunquistici, che, guarda caso, si dichiaravano espressione della “società civile” e che erano apertamente schierati contro il sistema democratico dei partiti.
La situazione dell’immediato Dopoguerra italiano non è probabilmente paragonabile a quella attuale. Ma va detto che allora non c’era solo una classe dirigente, ma “scuole” che si preoccupavano di formare classi dirigenti e c’erano i partiti secondo tradizione italiana, con tanti difetti, ma anche tanti pregi. In fondo si riteneva in modo diffuso che la “Democrazia è un sistema impefetto – come diceva Churchill – ma sempre meglio degli altri sistemi”.
Il problema è che oggi c’è il vuoto, colmato da un esasperato presenzialismo, e da un personalismo feroce e inquietante, dove ogni logica politica viene dimenticata. L’“ex” comico Beppe Grillo può ottenere consensi quasi pleibiscitari in materia di energia, sostenendo che si può sostituire la benzina con l’acqua calda. Sull’onda dell’emotività, dopo il terremoto del Giappone, e il dramma degli impianti atomici di Fukushima obsoleti, viene quasi scambiato per un eroe della battaglia contro il nucleare, affrontata in Italia ancora in termini confusi come ai tempi di Felice Ippolito.
Nel dibattito delicato sulla giustizia in un Paese di diritto moderno regolato dai “Cheks and balances”, il magistrato Luigi De Magistris passa attraverso inchieste come “Poseidone”, “SpB”, “Why Not”, “Toghe lucane” senza ottenere risultati e ricevendo rimproveri dagli stessi magistrati. Riesce a mettere in crisi governi, a dimissionare ministri della Giustizia, a mettere una procura contro l’altra, a costringere lo stesso Presidente della Repubblica a intervenire, a istituzionalizzare ancora di più la “fuga di notizie” dalle procure e a trovare referenti in ambienti mediatici. E’ il “figlio” del giustizialismo di Antonio Di Pietro e nell’Italia dei valori contesta a volte pure il “padre putativo” oltre che tutto il quartier generale della sinistra e dell’opposizione.
Lo stesso Giuliano Pisapia a Milano, persona corretta e “per bene” (anche se Bendetto Croce, nei suoi riferimenti alla politica, non lo riteneva il valore decisivo) sembra il mediatore tra la sinistra di Nichi Vendola (poeta un poco falso di un comunismo dove l’unico cattivo era Stalin), una congerie di “poteri forti” in contrasto con Berlusconi e le aree più disparate dei movimenti alternativi, tra cui c’è chi si oppone all’Expo, come alla Tav.
A ben guardare, più che una svolta epocale, il risultato di questi ballottaggi sembra segnare un “salto nel buio” con tutti i miasmi e le contraddizioni che hanno contrassegnato questi ultimi 18 anni di vita politica italiana. Ma se si guarda in controluce, si può vedere che si è definitivamente consumata la rottura tra classi dirigenti e istanze popolari decretata dal sessantottismo, con una cesura che non pare più rimarginabile. Si può dire tranquillamente che questo clima lo abbia creato anche lo schematismo e il decisionismo, sia quello berlusconiano che quello della Lega, che si sono mossi spesse volte come degli elefanti in cristalleria e che in fatto di schematismo politico non scherzano affatto. Ma non c’è dubbio che una responsabilità, se possibile maggiore, la abbiano oggi i partiti di sinistra, quelli che dovevano elaborare un progetto politico alternativo, innovativo, lasciandosi alle spalle quasi un secolo di falsa ideologia.
Invece è dal 1994 che i postcomunisti e i loro alleati catto-comunisti sembrano avere imboccato la strada del “tanto peggio, tanto meglio”, con una opposizione ottusa e senza prospettive concrete. Da quando la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto del 1994, con la tavola completamente apparecchiata, si è vista sfilare sotto gli occhi la tovaglia dall’abilità propagandista e televisiva di Silvio Berlusconi, gli “orfani” del comunismo sono andati totalmente in tilt.
Se un riformista di buon senso come Umberto Ranieri viene colto da “innamoramento” per De Magistris, lasciando sorpresi i suoi stessi vecchi amici, vuole dire che la sinistra si è arresa a qualsiasi prospettiva riformistica reale.
Ma questi sono in fondo i frutti avvelenati della “politica del tanto peggio, tanto meglio”. Su questo sfondo fermentano in genere i batteri più nocivi. Ed è così che esplodono, in campo sociale e politico, i fenomeni Grillo e De Magistris in tutta la loro virulenza. Un “ex” comico e un ex magistrato sembrano segnare i passaggi finali non solo del centrodestra, ma anche del centrosinistra. In questo c’è da rimpiangere persino Palmiro Togliatti e i suoi luogotenenti che, nel loro pragmatismo e nella loro flessibilità, non sposavano il “tanto peggio, tanto meglio”, ma la linea del “nessun nemico a sinistra”. Si scagliavano contro “gli avventuristi e i ribellisti” perché, nel bene o nel male un modello di progresso sociale, visto da sinistra, lo avevano e chi lo insidiava con “sparate al vento” poteva solo pregiudicarlo definitivamente.
Verrebbe voglia di dire all’attuale gruppo dirigente pidiessino e catto-comunista: adesso a Napoli, città notissima per il “rispetto delle regole”, a cominciare dalla raccolta dei rifiuti, prendetevi questo novello “Masaniello” che ha come imperativo categorico della sua linea politica il “sospetto” e il suo smisurato presenzialismo.