Nove sottosegretari nuovi di zecca per puntellare la maggioranza. Silvio Berlusconi ha fatto un altro passo verso i vecchi governicchi Dc che aumentavano a fisarmonica le poltrone pur di restare a galla, imbarcando una prima infornata di liberal democratici e Responsabili, la nuova gamba partitica che permette al Cavaliere di continuare la propria avventura di governo.
Roberto Rosso all’Agricoltura, Luca Bellotti al Welfare, Daniela Melchiorre e Catia Polidori allo Sviluppo Economico, Bruno Cesario e Antonio Gentile all’Economia, Aurelio Misiti alle Infrastrutture, Riccardo Villari ai Beni Culturali, Giampiero Catone all’Ambiente a cui si aggiunge il caso strano di Massimo Calearo, l’industriale vicentino ex veltroniano, nominato consigliere personale del premier per il Commercio estero.
Ma altre infornate seguiranno, ad ascoltare i propositi bellicosi dei tanti nuovi cespugli di centrodestra, ognuno a suo modo decisivo per i numeri alla Camera. Si parla di una decina di promozioni al governo da firmare a breve. A mordere il freno ieri sono stati gli esclusi Giuseppe Galati e Mario Baccini dei Cristiano popolari. Confidando, a ragione, nell’infinita bontà di Silvio Berlusconi che per non smentirsi ha già annunciato un Ddl in Parlamento per superare l’impaccio della Bassanini (che fissa un tetto ai posti di governo), dandola vinta ai rissosi neo alleati.
“Era logico assegnarli al gruppo che ha sostituito Fli e consente al governo di operare in Parlamento con una maggioranza coesa e sicura”, si giustifica il Cavaliere. In fondo i finiani si sono messi sull’Aventino liberando caselle buone a palazzo Chigi. Anche se in realtà la tenuta del governo è tutta da un’altra parte. Nelle mani ruvide di Umberto Bossi e della sua Lega. Se n’è avuta riprova nello spazio di qualche giorno. Il Carroccio, peraltro diviso al suo interno, ha incassato su tutta la linea. Si è intestata simbolicamente la svolta sulla guerra in Libia, costringendo Berlusconi sulle sue posizioni e battendo un colpo elettorale (no ad altri sbarchi di immigrati e a nuove tasse per finanziare una campagna che la gente non capisce).
Nel prossimo giro avrà nuovi sottosegretari, se vorrà. Eventualmente l’amico Giulio Tremonti a palazzo Chigi dopo il Cavaliere, al posto del sudista Alfano. E il vice sindaco di Milano, scalzando l’ex An Riccardo De Corato, se Letizia Moratti dovesse rivincere. Ogni volta la quadra con Bossi si fa più onerosa per Silvio Berlusconi. La Lega è specialista nel succhiare il sangue agli amici. Più aumenta il soccorso verde, più riscrivere l’alleanza diventa un bacio della morte.
Per il resto si vedrà dopo il voto di settimana prossima. Perché, superata la strettoia libica e i dissapori sulla mozione, resta da capire come andare avanti insieme e far fruttare i prossimi due anni di legislatura. Berlusconi non a caso sta politicizzando il voto: sarà un ennesimo referendum su se stesso e la tenuta della maggioranza. Non ha alternative a rilanciare di continuo. Il Carroccio non vorrebbe, ma andrà a chiedere il conto nel caso il Pdl facesse flop. Cosa non improbabile, «se si pensa che da un anno il governo è immobile, preda della guerra dentro al Pdl e della fronda finiana», ammette un leghista di rango. Lo stesso decreto sviluppo «è solo un brodino». La tanto attesa frustata è lontana. Morale: «solo dopo le amministrative sapremo cosa decide il popolo e se saremo costretti a continuare con Berlusconi o se riprenderemo la nostra libertà di movimento…». Forse questa è la vera notizia, più della deriva parademocristiana a colpi di poltrone&sottosegretariati. Per la prima volta da tanti anni tra Berlusconi e Bossi si è aperta una crepa. E nella Lega, inevitabilmente, si ricomincia a pensare a cosa fare da grandi…