Chissà che tipo di fiori sbocceranno, domenica 19 sul prato di Pontida: di sicuro non viole mammole. E’ lì che Umberto Bossi spiegherà ai suoi, e indirettamente ad alleati e avversari, quale rotta intende imprimere alla Lega dopo l’energica spazzolata che ha dovuto incassare pure lui nella tornata elettorale appena conclusa, mica solo Berlusconi. Da sempre, Pontida è il luogo da cui il Capo annuncia le strategie prossime venture. Certo, stavolta ci arriva in modo ben diverso dal primo festoso appuntamento del giugno 1990, quando il Carroccio festeggiò la sua prima vera affermazione, tra regionali e amministrative, e dove portò a casa il primo sindaco della sua storia: era Franco Bortolotti, eletto a Cene, paesino della Bergamasca; “e per noi è più importante di quello di Milano”, spiegò dal palco. Oggi Bossi deve presentarsi ai suoi facendo il conto non più dei guadagni ma delle perdite: da Novara a Pordenone, passando per luoghi-simbolo come Gallarate, la Lega è stata sonoramente sconfitta; e bisognerà pure spiegarlo alla base che di Pontida ha fatto una sorta di moschea padana, se è lecito il paragone, con i fedelissimi carponi ad ascoltare il verbo del Capo.
Bossi ci è abituato. Nel 1999, per esempio, dopo una bruciante sconfitta alle europee in cui il Carroccio perse due milioni e mezzo di voti, proprio a Pontida fece il gesto teatrale di rimettere il proprio mandato di segretario; durò qualche istante, perché ovviamente venne re insediato a furor di popolo. E fu dura anche nel 2001, quando dovette giustificare l’alleanza con quello che per anni aveva bollato come “Berluskaiser”, “Berluskaz”, “Il mafioso di Arcore”, e via insultando. Sempre da Pontida lanciò millanta bizzarre proposte, tutte evaporate: la costituzione del governo-sole, la disobbedienza fiscale, la nascita del terzo polo chiamato “del guerriero”, la devolution bocciata dagli elettori tramite referendum… Stavolta comunque dovrà arrampicarsi molto di più. Perché l’appiattimento del Carroccio su Berlusconi e sulle berlusconate ha mandato fuori dai gangheri il suo elettorato duro e puro, che ormai da mesi riversa il suo malumore sui blog padani chiedendogli di rompere l’alleanza; e in pari tempo ha deluso quelle larghe quote di elettorato aggiuntivo che avevano puntato su di lui nel filotto elettorale tra il 2008 e il 2010, delusi dal gap tra promesse e fatti esibito dal Cavaliere.
A questa situazione magmatica si abbinano fermenti interni nemmeno più tanto coperti come un tempo. L’età di Bossi, la sua presenza in scena ormai da un quarto di secolo, le condizioni di salute, inducono molti a prepararsi per la sua successione; che non sarà domani, ma verrà. E nessuno ha gradito il suo nepotismo di tirarsi dietro in tutte le sedi (inclusa quella ben retribuita del Consiglio regionale lombardo) un figlio che sicuramente non ricorda certo un Churchill o un Adenauer, ma neppure un Mastella. In questo senso, ci sono da tener d’occhio i movimenti in atto in Veneto (dove la Lega è azionista di maggioranza del Carroccio, con il 35 per cento) attraverso i congressi provinciali, preparatori di quello regionale che dovrebbe tenersi in autunno.
L’emergente è il sindaco di Verona Flavio Tosi, che ha appena spopolato nell’assise scaligera, ridicolizzando l’avversario designato dall’establishment. Tosi è vicino a Maroni nelle idee, nei comportamenti, nei ragionamenti; per questo si è attirato più di una critica dall’ala dura del movimento. Però tira dritto per la sua strada, forte del livello di consenso e dell’età. Preparandosi, magari, per il dopo-Bossi: quando l’assenza del capo carismatico scatenerà una guerra senza quartiere in casa padana. Senza più nessuno che riesca a far passare per vittorie pure le sconfitte.