È in grado il Pdl di reagire oppure si sta incaprettando? Anche dai resoconti dell’assemblea svoltasi al Capranica di Roma emerge una certa reticenza di fronte a errori di natura politica. In conclusione il risultato elettorale negativo sarebbe ormai solo un incidente di percorso dovuto a fenomeni contingenti (soprattutto colpa dei candidati locali) e comunque la soluzione è quella di un Berlusconi che faccia un passo avanti tornando indietro allo spirito originario del 1994. Ma questo “spirito del ‘94” è la soluzione o la causa della crisi?



Perché a Milano si registrata una sconfitta così netta e del tutto inattesa? Pisapia sin da quando aveva vinto le primarie era considerato un candidato già battuto in partenza in seno allo stesso centro-sinistra. È proprio dall’interno del fronte antiberlusconiano che – sponsor Massimo Cacciari – nacque infatti l’idea di candidare piuttosto l’ex sindaco Gabriele Albertini, bloccata solo dopo un intervento da Roma dello stesso Bersani.



Il risultato del 15 maggio – il sindaco del Pdl al ballottaggio nettamente dietro a Pisapia – ha sorpreso gli stessi vincitori. Quindi si è verificato qualcosa di serio, tanto che Milano da roccaforte del centro-destra è diventata laboratorio della sconfitta nazionale.

A Milano le ragioni della sconfitta sono prevalentemente due: caduta del “carisma” di Berlusconi e spostamento a destra del Pdl con lo spintonamento dell’elettorato ex democristiano ed ex socialista in parte a sinistra oppure nell’astensionismo.

La crisi di “carisma” di Berlusconi certamente non si risolve con la sua sostituzione in quanto il Pdl è Berlusconi e l’alternativa sarebbe una sua implosione. Ma il problema del minor “carisma” esiste e ha due aspetti: il primo riguarda uno “stile di vita” imprudente e impopolare di cui sbarazzarsi; il secondo – più serio sul piano elettorale – riguarda una disordinata e non convincente replica agli attacchi giudiziari.



La difesa di Berlusconi nella campagna elettorale milanese è stata superficiale e ha sfiorato la goliardia. Ciò è dovuto al fatto che nel centro-destra, soprattutto a Milano, esiste una “impasse” di fondo derivante dalla distinzione tra Procura di Milano “Dottor Jekyll” nel ’92-’94 e poi, improvvisamente, “Mister Hyde” dopo il ’94. Se Lega, ex An e “nuovisti” vedono la Procura di Milano come il salvifico Altare della Patria della “loro”  Seconda Repubblica, la difesa ad personam dagli attacchi giudiziari è sempre meno intellegibile e credibile e provoca confusione e distacco nello stesso elettorato di centro-destra che ha difficoltà a seguire questo ragionare sui Pm “Dr. Jekyll-Mr. Hyde”.

Ma la falla più seria è quella determinata da una visibilità del Pdl che ha perso i tratti di partito di centro. Quando nell’analisi del risultato milanese nell’ambito del Pdl si lamenta che è mancata “la moderazione dei toni come negli accenti garbati” ci si riferisce al fatto che a Milano si è perso perché il Pdl si è spostato rumorosamente a destra lasciando così una parte del suo elettorato completamente alla mercé della incontrastata penetrazione di un candidato del partito di Vendola, che è potuto diventare tutto “dolce stil novo” (“Tanto gentile e tanto onesto pare”).

Lo “spirito del ’94” si è tradotto in una ritirata dai territori cattolico-democratici e liberal-socialisti ritenendoli “terra dei morti” in nome di una anonima “società civile” che si pensava di appassionare attraverso “eventi” e non iniziative di ricerca e di dialogo. Vi è stato, ad esempio, un sostanziale disinteresse verso il mondo sindacale e culturale. Di fronte a un candidato bellicosamente sponsorizzato dalla sola Cgil non si è fatto un solo passo milanese verso l’area cattolica della Cisl e laico-socialista della Uil con cui a livello nazionale non mancavano i riscontri positivi.

Altro caso di abbandono è il mondo della cultura a cominciare dalle università. Dalla Statale allo Iulm esistono personalità autorevoli e “carismatiche” in particolare del mondo cattolico e liberalsocialista che spesso si erano esposte a favore di Berlusconi. Non uno è stato interpellato e coinvolto. Tutto “Prima Repubblica” con cui non mischiarsi?

È prevalsa così questa immagine di una destra nuovista, nel segno dell’aggressività e della autosufficienza, che ha dato l’impressione di muoversi secondo una visione molto datata, ancora legata cioè alle tesi della “Fine della storia” degli anni 90 quando con la “implosione” del comunismo si pensava a un futuro di sviluppo indolore, omogeneo, unidirezionale e quasi automatico meglio affrontato con  meno politica, meno partiti, meno stato e meno nazione. Una lettura e un’architettura enfatiche e schematiche ormai generalmente considerate superate e fuorvianti e soprattutto prive di attenzione alla tutela sociale.

Solo tardivamente ci si è resi conto che i territori abbandonati dalla destra nuovista non erano peso inutile e deserto infame, ma un elettorato determinante. Quindi, dopo il 15 maggio, si sono lanciati gli “appelli” da un lato ai cattolici e dall’altro ai socialisti. Ma sono stati appunto appelli nazionali in quanto a livello milanese il danno era fatto e sarebbero emerse più le defezioni delle adesioni. Il ritorno allo “spirito del ’94” (soprattutto dimenticando che quella vittoria fu ottenuta grazie al voto dell’elettorato ex pentapartito) non è il rimedio, ma la causa della sconfitta. Da che mondo è mondo in politica quando ci si appella a quelli della “prima ora” significa che è scoccata “l’ultima ora”.