Una partecipazione altissima, oltre ogni aspettativa. Davanti a un’affluenza del 57% tutti i partiti hanno riconosciuto questo dato uscito ieri dalle urne, al di là delle diverse letture politiche del voto. «È stato un referendum sul divorzio tra il governo e il Paese» ha dichiarato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, chiedendo le dimissioni del premier. «Una vittoria degli italiani» che sarebbe invece sbagliato “strumentalizzare” secondo il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro. E se nella maggioranza il ministro Roberto Calderoli si è detto stufo di “prendere sberle” il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha commentato: «La volontà degli italiani è netta. Ora governo e Parlamento hanno il dovere di accogliere pienamente il responso dei quattro referendum».
«A mio avviso si è trattato più di un referendum sul governo che di un voto sui singoli quesiti – dice Piero Ostellino a IlSussidiario.net -. Se da un lato l’esecutivo è uscito chiaramente sconfitto, dall’altro è più complicato capire chi sia stato il vero vincitore. L’opposizione è riuscita a dare un’altra spallata a Berlusconi, ma questa volta la sua sembra davvero una “vittoria” a spese del Paese».
Cosa intende dire?
È stato politicizzato un voto che avrebbe dovuto stabilire quale sarebbe stato il nostro piano energetico per il futuro. E così abbiamo rinunciato al nucleare in un momento in cui le energie alternative non rappresentano ancora una strada praticabile, condannandoci a pagare il 30% in più rispetto a chi un piano serio ce l’ha. Lo stesso discorso vale per l’acqua.
Come la pensa in proposito?
Innanzitutto non era in discussione la privatizzazione dell’acqua, che sarebbe rimasta comunque un bene pubblico, ma la sua distribuzione. L’attuale gestione clientelare e inefficiente porta a disperderne milioni di litri e lo Stato, dal canto suo, non dispone di 60 miliardi di euro per sistemare la rete. Per questo il “sì” ha significato in pratica la conservazione dello status quo e si è risolto in una specie di volo nella stratosfera del dover essere ideologico che però non fa i conti con la realtà.
Una decisione discutibile, ma comunque consapevole?
Se si esclude la remunerazione del capitale di chi investe è evidente che alla base c’è una posizione ideologica, a mio parere non condivisibile, secondo la quale i beni pubblici li può produrre soltanto lo Stato. Riguardo alla consapevolezza di questo voto devo dire invece che c’è stata cattiva informazione e che il centrodestra non ha fatto la sua parte.
In che senso?
Ha rinunciato a fare politica. Nessuno ad esempio, riguardo al legittimo impedimento, ha fatto notare che si è votato contro una sentenza della Corte costituzionale che aveva corretto la legge governativa, chiarendo i limiti dell’impedimento stesso. Sono cose che possono accadere soltanto in un Paese di azzeccagarbugli in cui il più banale senso comune è ormai andato perso. Un altro esempio? Sul nucleare non si è votato, come sarebbe stato naturale, per cancellare o mantenere una legge esistente, ma per scongiurare la possibilità che in futuro una certa decisione possa essere presa. Tutto ciò ha il minimo senso secondo lei?
Più che a Berlusconi secondo lei la “spallata” è stata data perciò al Paese…
Certo. A Milano i cittadini hanno scelto di far pagare l’Ecopass anche ai possessori di veicoli non inquinanti. Si passa così dal “paga chi inquina” al “pagano tutti” in nome di un discutibile egualitarismo di tipo sovietico che ci vuole tutti egualmente poveri. Chi, se non il Paese, ci perde quando vengono prese decisioni di questo tipo? Il fatto è che in Italia, a differenza di quanto accade altrove, sta venendo meno lo spirito critico. In Francia, ad esempio, ogni cittadino vota, ma soprattutto pensa, con la propria testa e non secondo il proprio schieramento politico. Da noi è il contrario e di questo passo assomiglieremo sempre di più a quel marito che per fare dispetto alla propria moglie…
Chiaro. Ma qual è secondo lei lo sbocco politico più naturale di questa crisi della maggioranza?
Se vuole arrivare alla naturale scadenza della legislatura il Pdl ha una sola possibilità: rilanciare le riforme al più presto, altrimenti il divorzio dalla Lega sarà inevitabile.
Se ne parla da molto tempo, ma in che modo potrebbe farlo?
L’unica strada percorribile è la riforma fiscale. Il governo può ridurre di un punto o due le aliquote più basse. In questo modo però non rimetterebbe in moto l’economia e regalerebbe soltanto qualche decina di euro alle fasce più deboli. L’alternativa ambiziosa, ma vincente è invece quella già percorsa da Ronald Reagan che, su consiglio di Laffer, abbassò drasticamente le aliquote medio-alte facendo ripartire a mille l’economia. Alternative non ne vedo. La politica degli annunci ha fatto il suo tempo e il centrodestra non può certo pensare di vincere ancora soltanto grazie alla faccia di Berlusconi…
(Carlo Melato)