Man mano che vedevo apparire sul teleschermo i risultati del referendum, mi sentivo pervaso da una gioiosa liberazione come si prova quando, svegliandosi all’improvviso dopo un incubo, affacciandosi alla finestra, si vedono i colori dell’alba far nascere un nuovo mondo. Tutto ricomincia al mattino. Il tredici e il quattordici giugno l’Italia si è svegliata da un lungo sonno, da un perverso incantesimo che ne ha minato lo spirito e l’umore e ha dato allegramente il ben servito a Berlusconi, alla seconda Repubblica e a tutto l’establishment che in questi anni ci ha condotto dentro lo squallido spettacolo della rissa politica e della menzogna sistematica.
Io non so come spiegare quello che è successo a chi sta provando a vivere l’ebbrezza di un risultato inaspettato. Ho paura che la nomenclatura dei partiti, che è stata chiamata a commentare i risultati, cerchi di annebbiare la trasparenza del significato di questo voto, messa in movimento a partire dalle elezioni amministrative. Molti commentatori non hanno capito che non le loro arzigogolate argomentazioni, ma la forza d’urto di un nuovo sentire ha in un attimo dissolto la mitologia berlusconiana. Ci saranno molti “disoccupati” dopo il crollo di Berlusconi, molti che hanno pensato che ogni dimensione politica della vita collettiva si potesse risolvere nella supponenza moralistica e nel pettegolezzo sessuale sulle avventure di un anziano signore malato.
In questo risultato straordinario, che ha portato quasi 30 milioni di italiani a votare liberamente secondo le proprie convinzioni, c’è una novità assoluta rispetto al passato che molti non riescono a cogliere: la qualità e il significato della campagna elettorale che ha accompagnato in questi giorni il popolo italiano al seggio del voto finale. Non si è trattato genericamente, come molti dicono, di una mobilitazione indotta dall’esterno con slogan e messaggi audiotelevisivi, ma di un atto di vera e propria forza individuale e collettiva con cui una massa di italiani ha deciso di riprendere nelle proprie mani il potere di decidere su un risultato concreto attraverso la messa in campo delle proprie persone e delle proprie qualità comunicative. Non c’è soltanto un risultato popolare di sepoltura di Berlusconi, ma c’è una campagna elettorale minuta e diffusa nel corpo delle città e dei borghi durante la quale ciascuno ha giocato una parte decisiva nel convincere e nello spiegare le ragioni di un voto. Assai più che in passati referendum, questa volta il primo, vero agente organizzatore dell’evento politico è stato il popolo minuto, non diretto da partiti ed organizzazioni, ma libero nella sua spontanea creatività di trovare le parole e le immagini giuste per rappresentare a tutti la vera posta in gioco: la sepoltura della seconda Repubblica.
Di questo risultato nessuna oligarchia di partito può appropriarsi, né alcuno schieramento politico può dire di averne determinato l’esito. I cittadini hanno capito che per la prima volta si andava a votare non sulle direttive di oligarchie di partito, che avevano già scelto i rappresentanti popolari attraverso vergognosi sistemi di nomina centralizzati, ma che essi stessi, i cittadini, potevano direttamente produrre il risultato del cambiamento dello scenario.
Io non so quanti si rendano veramente conto della portata rivoluzionaria di questo fatto, e cioè che il cittadino non si è trovato a mettere una croce su una lista di candidati predisposta da appositi comitati di partito, sottratti ad ogni controllo democratico, ma ha scelto direttamente di esprimere attraverso il proprio voto un giudizio sull’azione concreta che il governo è chiamato a compiere. Decidere sull’acqua, sull’energia nucleare e sul legittimo impedimento ha una portata simbolica non assolutamente paragonabile a quella di un’elezione parlamentare, perché in questa occasione i cittadini sono stati chiamati a rispondere direttamente a problemi che riguardano la loro esistenza immediata, simbolicamente espressa dalla fruibilità dell’acqua come bene comune, dalla sicurezza della propria vita rispetto ai grandi poteri che controllano l’energia, dal rispetto elementare dei principi di eguaglianza davanti alla legge a cui tutti affidano la legittimazione dell’ordine giuridico. I cittadini non sono stati chiamati a votare per tizio o caio, già nominato dal rispettivo partito o coalizione come predestinato a diventare parlamentare, ma si sono potuti organizzare direttamente per capire quale problema poneva ogni quesito e quale soluzione essi singolarmente e collettivamente pensavano che si dovesse perseguire. Il voto di questi circa trenta milioni di italiani ha un valore costituente di una nuova fase politica nella quale deve rendersi palpabile il rinnovamento delle classi politiche dirigenti in nome di un’altra forma di rappresentazione degli interessi e degli ideali popolari.
Per dirla con estrema chiarezza, penso che insieme alla sepoltura definitiva di Berlusconi e della sua mitologia siano da guardare con sospetto tutti i personaggi politici della prima Repubblica che hanno trovato “asilo politico” nell’opposizione. Penso che sono altresì messi fuori gioco i tradizionali operatori del sistema mediatico che hanno continuato a baloccarsi con i soliti interlocutori politici e non hanno mai avuto la forza di rompere il gioco degli specchi fra amici e nemici di Berlusconi per lasciare spazio alle nuove generazioni che non amano essere imbrigliate in una mera scelta di campo senza progetto e senza prospettive.
Ci sono state trasmissioni televisive di commento come quella di Mentana de La7 che hanno provato a tradurre i risultati del referendum in assegnazione di percentuali di voto ai partiti e alle sigle dell’ultima consultazione elettorale politica. Francamente mi è sembrato una sorta di blocco onirico di fronte a un dato di realtà indiscutibile: se Berlusconi scompare dalla scena italiana, nessuno può immaginare che gli schieramenti politici restino come prima e tanto meno che restino in gioco gli attuali leader.
Quale sarà il significato elettorale del terzo polo in una competizione che si svolgerà forse con altre regole? E qual è la proposta politica di Casini, che sinora si è furbescamente barcamenato fra centrosinistra e centrodestra alla ricerca di un ceto moderato che non esiste? Potranno forse gli esponenti dei partiti minori della sinistra, da Ferrero a Vendola, mettere il cappello sui risultati del referendum che hanno completamente spazzato le tradizionali linee di appartenenza?
In termini più netti, se si interpreta correttamente il risultato di queste elezioni amministrative e di questi referendum, di questa immensa riscossa elettorale del popolo delle città e delle campagne, non si potrà più declinare la composizione politica del nostro Paese secondo gli schemi del centrodestra e del centrosinistra così come sono stati fissati nell’epoca berlusconiana. Questo voto popolare segna una discontinuità anche rispetto agli schieramenti e permette anzi di cogliere in tutta la sua gravità il significato funesto che ha avuto l’egemonia berlusconiana nel creare artificialmente una divisione fra gli italiani che non ha alcun riferimento alla realtà della vita quotidiana.
Da questo risultato debbono nascere nuove organizzazioni spontanee che esprimano l’originalità e la ricchezza dei dirigenti nuovi che si sono formati nelle esperienze quotidiane della campagna elettorale. Si può sperare ad esempio che, come negli anni ’70, la società italiana si riorganizzi attorno a comitati democratici che siano capaci di proposta e controllo nei vari reparti della vita individuale e collettiva. Bisogna riprendere in mano i contenuti della lotta politica: anzitutto la scuola e il lavoro. Sono infatti questi i temi che la continua distrazione del sistema mediatico e del sistema politico ha posto fuori dalla portata dell’intervento effettivo dei cittadini italiani.
Non vorrei eccedere nella fantasia ma dopo questo voto sarebbe un gran risultato se personaggi come Santanchè, Brambilla, Gelmini, Fitto, ecc. non venissero più a parlarci dei miracoli berlusconiani, ma sarebbe anche auspicabile che Santoro, Mentana e Floris non immaginassero che La7 possa diventare la prosecuzione all’infinito degli spettacoli di Annozero. Ho l’impressione che tutti, giornali, media, partiti e grandi organizzazioni sociali debbano buttare a mare i vecchi palinsesti e inventarsi una nuova agenda tematica che dia voce ad un Paese in cerca di aria libera.
È tempo di aprire le porte ad una nuova cultura della vita, promuovendo anche nuovi luoghi e occasioni per rielaborare i “saperi” che ci aiutano a capire il mondo.