Di Pietro, in un’intervista a Il Corriere della Sera, spiega ancora una volta cosa è accaduto nella famigerata chiacchierata con Berlusconi. E coglie l’occasione per smarcarsi da alcuni stereotipi sul suo conto. Ribadendo lo stesso concetto espresso con Il Fatto quotidiano, fa presente che, dal momento che il presidente del Consiglio lo ha avvicinato a Montecitorio, non aveva alternativa che starlo ad ascoltare. Il premier gli avrebbe detto che il governo ha fatto tanto. Di Pietro gli avrebbe risposto di dimettersi e di stare ad ascoltare il suo discorso. Nel quale ha detto di sentirsi stufo che si ci rivolge all’opposizione con un generico: «la sinistra». E, a tal proposito, ecco alcune rivelazioni dell’ex pm: «Se verrà a trovarmi a Montenero – dice al giornalista -, le mostrerò una cosa che custodisco fin dai primi Anni Sessanta».



Ovvero, «il portafoglio di mio padre». Si chiamava «Di Pietro Giuseppe, contadino. Morto a 72 anni cadendo dal trattore». Ma non è questo l’importante: «Nel suo portafoglio non c’era mai una lira, ma un’immagine della Madonna di Bisaccia. E due sole tessere. Lui le chiamava “il fascio di grano” e “la Libertàs”. Erano della Coldiretti e della Dc. Non era proprio iscritto al partito: le davano insieme, d’ufficio. Io comunque vengo da lì. Dai cattolici, dai moderati. Ho studiato in seminario. Non sono un uomo di sinistra». Riferendosi al premier, poi, mostra un atteggiamento sorprendentemente inedito: «Berlusconi oggi è una persona sostanzialmente sola, che cerca di comprare una felicità che non ha. I miei sentimenti sono di humana pietas per lui. E di rabbia per i cortigiani che di lui si approfittano, che ci mangiano, che umiliano ancora di più le istituzioni, coprendosi dietro la sua faccia».



Al di là dell’attacco di routine («Il mio giudizio politico non è cambiato. Il governo Berlusconi non è né liberale né popolare; è un gruppo di potere che sta piegando le istituzioni a interessi privati, su un modello piduista»), infine, l’apertura del tutto inaspettata: «Porti in Parlamento la riforma fiscale, l’aumento delle imposte sulle aliquote finanziarie e il taglio di quelle sul lavoro, l’abolizione delle Province, e noi non ci tireremo indietro».

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