«Le riforme sono il contenuto della linea politica del governo o soltanto uno strumento da utilizzare nei momenti di debolezza?». Luciano Violante, intervistato da IlSussidiario.net, si interroga sull’invito del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a lavorare assieme partendo proprio dalle proposte contenute nella bozza che prende il nome dell’ex Presidente della Camera (riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto, Senato federale). «Non vorrei che finisse come le altre volte, perché in questa legislatura, che doveva essere “costituente”, alle parole spesso non sono seguiti i fatti. Si capirà presto, ad ogni modo, se le intenzioni sono serie».
Quali sono i passi giusti per incominciare nel migliore dei modi?
Guardi, i presidenti delle Commissioni Affari costituzionali sono entrambi di maggioranza e le proposte sono già tutte registrate. Le mettano all’ordine del giorno e le esaminino. Dopodiché nominino un parlamentare della maggioranza e uno dell’opposizione come relatori al fine di sancire davvero un’unità di intenti.
Non occorre inventarsi nulla di nuovo. Le basi parlamentari ci sono, quelle politiche vedremo.
È scettico a questo riguardo?
Le difficoltà della maggioranza sono sotto gli occhi di tutti. È alle porte un rimpasto, andrà cambiato il ministro della Giustizia e la maggioranza non ha ancora deciso cosa fare riguardo a un’eventuale riduzione delle tasse. Non si può dire che questa sia la situazione ideale per un lavoro così ambizioso.
Ad ogni modo, per trasformare in realtà la “bozza Violante” quanto tempo occorrerebbe secondo lei?
Non è facile dirlo perché ogni passaggio porta con sé una serie di decisioni da prendere.
Il Senato federale, ad esempio, è assolutamente indispensabile al fine di completare la riforma federale dello Stato, ma una novità di questo tipo implicherebbe di rivedere sia il procedimento legislativo che la legge elettorale.
Ci spieghi meglio.
Riguardo alle competenze da attribuire al Senato federale devo dire che tutte le proposte, comprese quella che porta il mio nome, non sono soddisfacenti.
Prospetto una ipotesi. La Camera, che è titolare dell’indirizzo politico, approverebbe i disegni di legge mentre il Senato avrebbe la possibilità di richiamarli a sé entro un determinato termine tempo per valutarli e apportare modifiche. Se la Camera avesse intenzione di superare queste modifiche sarebbe costretta a farlo a maggioranza assoluta. Resterebbero bicamerali le leggi costituzionali e quelle elettorali. In aggiunta, passerebbero al Senato la gran parte delle competenze che oggi spettano alle Commissioni Stato-Regioni e Stato-Autonomie Locali, il potere d’inchiesta, il potere di. esprimere il parere sulle nomine nelle autorità di garanzia. Ripeto, si tratta solo di una delle possibili ipotesi.
Riguardo alla legge elettorale invece?
Il Senato federale andrà eletto necessariamente con un proporzionale puro, su base regionale, perché, a differenza della Camera, non dovrà dare indirizzo politico, ma rappresentare i territori. Alla Camera invece dovrà prevalere il principio della decisione. Di conseguenza andrà favorita la costituzione della maggioranza già nelle urne.
Qual è la sua proposta a questo proposito?
La mia idea è quella di una legge elettorale in parte maggioritaria, basata su collegi uninominali a doppio turno, con una quota proporzionale di circoscrizione e una piccola quota di proporzionale nazionale che dia diritto di tribuna a coloro che non hanno preso nessun seggio, superando però la soglia del 3%.
Come si vede, non sono problemi che si risolvono in una decina di giorni.
La riduzione del numero dei parlamentari, invece, a che tipo di logica risponderebbe?
Di certo non servirebbe a ridurre i costi della politica, anche se questa è una sciocchezza che si legge spesso. Ha senso invece perché sta cambiando la natura del parlamento. Vede, quello di oggi non è più un Parlamento legislatore, tant’è che il 50% della normativa esistente proviene da sedi extranazionali e del restante 50% più della metà proviene invece dalle regioni. In sostanza, quindi, il Parlamento legifera per il 22% circa della normativa esistente, senza contare che una quota sempre più crescente è di provenienza governativa.
Non stiamo più parlando, quindi, del Parlamento dell’‘800 e del ‘900. Il Parlamento del 21 secolo o sarà una sede di controllo del governo oppure si ridurrà ad una “classe discutidora”. Per sopravvivere la Camera dev’essere più qualificata.
La riduzione del numero dei parlamentari di per sé porta ad avere questo risultato?
Non è automatico, ma è probabile.
Ora che il quadro è più chiaro, comunque, possiamo dire che, data la complessità di questa riforma, in meno di un anno non si può raggiungere questo obiettivo.
Inevitabile a questo punto chiederle qual è la sua previsione sulla tenuta del governo.
Nessuno ha la sfera di cristallo e comunque dipende da ciò che dicevamo all’inizio. La maggioranza ha i suoi problemi e, dato che in materia di sconfitte siamo abbastanza esperti, posso dire al centrodestra che in questi casi ci vuole molto tempo per rimettere i buoi davanti al carro.
Alla Camera il leader dell’Idv, Antonio Di Pietro, ha strigliato il Pd, invitandolo ad accelerare i tempi della costruzione di un’alternativa, che, a suo dire, ancora non c’è. Lei cosa risponde?
Prendo atto positivamente del fatto che Di Pietro ha abbandonato i toni che l’hanno caratterizzato negli ultimi due anni, anche se non è ancora dato di sapere quali siano i punti programmatici dell’Italia dei Valori.
Io resto convinto del fatto che si possa costruire un’intesa salda tra tutte le opposizioni. È per questo motivo che non abbiamo ancora presentato il nostro disegno di legge in materia elettorale. Vogliamo prima confrontarci con le altre forze, sapendo che quello che va bene a noi, potrebbe anche non andar bene agli altri.
Di Pietro perciò può stare tranquillo. Presto vi riunirete?
Spero proprio di sì, d’altra parte in questo momento storico è un dovere.
Ci rivolgeremo a tutti, Udc compresa. È il momento di pensare ai problemi concreti, lasciando da parte le pregiudiziali ideologiche.
(Carlo Melato)