Doveva essere la resa dei conti. Dopo le accuse incrociate dei giorni scorsi girava addirittura voce che Tremonti si sarebbe presentato a Palazzo Grazioli con le dimissioni in tasca. Altri invece prevedevano la sua cacciata. Il vertice di ieri si è però concluso con un sostanziale accordo tra le parti, in vista del Consiglio dei Ministri di giovedì. «Il ministro dell’Economia – dice a IlSussidiario.net Francesco Forte, economista e già ministro delle Finanze – è tornato al ruolo che gli compete dal tempo del Re Sole in poi, che cito perché Tremonti un po’ colbertista lo è. D’altronde, la convergenza tra l’elettorato del Pdl e quello della Lega sulle tematiche fiscali lo ha costretto ad abbandonare quel ruolo di mediatore e di arbitro che si era costruito in quanto garante dell’asse tra i due partiti. Oggi è spiazzato. Le sue dimissioni non significherebbero più la rottura di un asse, ma soltanto la dimostrazione che non è più disposto a discutere con i suoi capi».



Umberto Bossi si è mostrato parzialmente soddisfatto, ma ha annunciato comunque di aver ottenuto la modifica del patto di stabilità per i comuni virtuosi.

I tagli lineari ai comuni, senza distinzioni, rappresentano certamente un grave errore. Detto questo, è importante che si recuperino i mezzi che vengono concessi ai comuni virtuosi e che si inizi a privatizzare. Il ministro dell’Economia ha però dimostrato, tramite la Cassa depositi e prestiti e altri strumenti, di essere contrario. D’altronde da qualche tempo rappresenta l’ala sinistra del centrodestra.



Cosa intende dire?

La sua impostazione dell’economia sociale e di mercato dal punto di vista teorico ammette e sostiene rilevanti strumenti di intervento pubblico nell’economia. Si veda ad esempio quelli che ha attuato con la Banca del Sud o con il nuovo veicolo finanziario che dovrebbe intervenire nella gestione delle imprese per rafforzarle ed accrescerne il capitale. Lo stesso discorso vale poi se si parla di politica tributaria della famiglia.

Ci spieghi meglio.

Sul tema si confrontano due visioni: quella sostenuta dagli ambienti cattolici e liberali che credono nel quoziente famigliare come principio di attenuazione della progressività in funzione del numero dei membri della famiglia e quella sostenuta dalla sinistra che predilige le detrazioni fisse per i figli.
Se la prima ha al fondo un richiamo etico, tant’è che non si può estendere alle coppie di fatto e potenzialmente divide laici e cattolici, la seconda ha un chiaro messaggio a favore dei redditi più bassi. Man mano che il reddito aumenta, infatti, la detrazione fissa diviene via via sempre meno significativa. 



E per quale ragione secondo lei Tremonti si troverebbe sul lato sinistro di questo confronto?

Si può capire il perché nell’ottica di un nuovo schieramento trasversale che comprenderebbe Centro e Pd quando questa fase politica si chiuderà. D’altronde non è una novità che in Italia ci sia una larghissima corrente economica e di potere, espressa da alcuni autorevoli giornali, che per il dopo Berlusconi punta tutto sulla scomparsa del centrodestra e sulla formazione di una grande coalizione di centro. Una nuova creatura politica che abbia il Pd come perno, vari tronconi del centrodestra come contorno e che possa fare a meno delle ali estreme. E non è un caso che quando si parla di questa ipotesi si fa riferimento proprio alla leadership di Tremonti. Non è dato sapere se a lui questa candidatura faccia piacere, di sicuro però non l’ha respinta.

Ad ogni modo, il compromesso di ieri secondo lei chiude la fase dei tagli lineari e accontenta chi in questi mesi ha lamentato una scarsa attenzione alla crescita in favore del rigore?

E’ giusto dire che in Italia è molto difficile non procedere con i tagli lineari perché occorrerebbero informazioni più dettagliate sull’efficacia e l’efficienza dei singoli comparti. Detto questo è grave che questi tagli abbiano interessato anche le infrastrutture, di cui la crescita ha bisogno.
Spero che su questo si possa fare un passo in avanti anche se temo che il dibattito rimarrà sulle questioni di bottega. L’Italia infatti è il Paese in cui sia il Nord che il Sud sono d’accordo nel non volere il Ponte sullo Stretto e nel Meridione si preferisce ancora strappare delle rassicurazioni sullo sfondamento dei conti della sanità, piuttosto che realizzare le opere che servono.

In definitiva, è d’accordo con chi vedeva nell’accordo di ieri l’unica possibilità per il premier di arrivare fino al 2013?

A mio avviso, dietro questa lettura c’è il messaggio che ciò che resta di Confindustria ha inviato a Berlusconi: se ti tieni Tremonti, ti lasciamo campare. Il che è un po’ strano perché quegli ambienti in realtà non amano Tremonti (e il ministro dovrebbe capirlo), ma appoggiano chi, di volta in volta, si mette contro al Cavaliere. Sa come si dice? Divide et impera…

(Carlo Melato)