«Non c’è dubbio che chi oggi prende delle decisioni sulla situazione economica si prende delle responsabilità anche per il domani». Parola del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ieri ha invitato le forze politiche a un «indispensabile sforzo convergente» di fronte alle scelte che attendono il Paese. «Quello del Capo dello Stato – dice Stefano Folli a IlSussidiario.net – è un richiamo forte alla coesione nazionale in questa delicata fase politica. Nell’attesa di conoscere l’esito del Consiglio dei Ministri di oggi e di sapere più nel dettaglio i contenuti della manovra possiamo comunque dire che l’accordo di massima che è stato raggiunto “salva” la maggioranza, ma tende ad accorciare la legislatura».



Il ministro Tremonti secondo lei ha dovuto ridimensionare eccessivamente il suo “rigorismo”?

Probabilmente occorreva una manovra più incisiva fin da adesso, ma è evidente che in questa vicenda hanno pesato molto le esigenze politiche. Diciamo che il ministro in un ipotetico governo monocolore sarebbe stato più rigoroso, all’interno di una coalizione ha dovuto agire invece secondo logiche politiche.
Ora combatte la sua partita, che non dovrebbe comunque avere conseguenze politiche, per portare Grilli a ricoprire la massima carica di Bankitalia, vincendo la concorrenza di Saccomanni, sostenuto invece dall’establishment.



Ma per quale motivo si ridimensionano anche le prospettive della legislatura?

Da un lato Berlusconi è sempre più deciso a puntare alla scadenza naturale del 2013, dall’altro la Lega sa di non poter restare a bagnomaria troppo a lungo. Parlo di Lega e non di Bossi perché probabilmente se fosse per il Senatur il Carroccio resterebbe al fianco di Berlusconi. Il partito però continua a mandare segnali chiari e il suo leader è intenzionato ad ascoltarli. Non a caso la Lega voterà a favore della richiesta di arresto di Alfonso Papa. In pratica penso proprio che i leghisti, rispetto all’ipotesi di tenere fino al 2013, accollandosi così anche la tranche più pesante della manovra, preferiscano quella di un voto entro nove mesi.



All’interno della Lega è sempre Maroni a portare avanti questa linea? 

Si, anche se non credo sia corretto dire che il ministro dell’Interno stia sfidando la leadership di Umberto Bossi. Ha una sua posizione, diversa da quella che il Senatur di oggi è più propenso ad appoggiare, e sta lavorando per creare le condizioni strategiche affinché la Lega vada in quella direzione. 

All’interno del Pdl, invece, fra pochi giorni toccherà ad Angelino Alfano ricoprire un ruolo delicato.

Lo attende un compito non facile. Dovrà dare un senso e un profilo alla segreteria del partito, una carica che non era mai esistita. Servirà tempo per dimostrare di non essere soltanto espressione di Berlusconi, una figura che, nonostante le mille difficoltà, continua ad avere un carisma straripante all’interno del centrodestra. 

Se questo è lo scenario della maggioranza, come procede la costruzione di un’alternativa nello schieramento opposto?

Il centrosinistra è ancora alla ricerca di un baricentro. Tutto ciò che sta accadendo in questi giorni, dall’ipotetico nuovo profilo di Di Pietro, alle offerte di Casini a Bersani in vista di un governo di responsabilità nazionale, non è strategicamente interessante, proprio perché ha soltanto una valenza tattica. D’altra parte, l’imbarazzo riguardo agli scontri sulla Tav danno il senso di quali e quanti siano i nodi che ancora devono essere sciolti in questo campo. Per ora, all’orizzonte non si vede un progetto, ma soltanto la speranza comune che Berlusconi sia costretto dalle circostanze a uscire di scena.

(Carlo Melato)