Il modo in cui è stata approvata la manovra finanziaria rappresenta una indubbia novità – “un miracolo” secondo Napolitano – che è difficile liquidare come una parentesi già chiusa. Alla base c’è un pericolo di baratro ben evidente a tutte le parti in causa. Questa volta la paura non si è tradotta in dissociazione, ma in uno sforzo di coesione. Un fatto eccezionale. E infatti i protagonisti di questa convergenza sia nel centro-destra sia nel centro-sinistra quasi si sono dovuti “scusare” con le rispettive tifoserie assicurando che il “ring” degli scontri senza esclusione di colpi rimaneva in piedi.



Ma a sua volta Napolitano ha immediatamente richiamato dalle colonne del “Sole 24 ore” di domenica i responsabili dell’accordo che sono necessarie altre prove di “coesione nazionale” con adeguati equilibri parlamentari. Le forze politiche messe sotto accusa per i “costi della politica” e per essere causa della crisi economica hanno però dimostrato che un ruolo determinante per la salvaguardia nazionale tocca proprio alla politica. Infatti quando lunedì 11 luglio la Borsa era in picchiata, il momento di svolta e di ripresa è iniziato alla notizia che la “politica” aveva trovato un accordo e la manovra finanziaria sarebbe stata approvata in tempi rapidi.



Un successo per il governo che però è sembrato poco entusiasmare il suo capo. Può darsi che egli abbia voluto evitare protagonismi controproducenti. Ma la sostanza che emerge da questa vicenda è che per dar vita a un’adeguata governabilità di fronte all’attuale crisi economica e finanziaria è necessario che in entrambi i campi si sia capaci di ridimensionare le spinte estremistiche. E cioè è oggi necessario che sia nel centro-destra che nel centro-sinistra s’interrompa la lunga “ora di ricreazione” dell’antipolitica che negli anni ha enfatizzato i problemi lasciandoli però aggravare senza risolverli e dando vita ad una inconcludente e sempre peggiorativa serie di leggi elettorali.



Sia a destra sia a sinistra sarebbe quindi necessario sbarazzarsi di due “governi ombra” che alimentano appunto la demagogia antipolitica, una bonifica necessaria non per dar vita al consociativismo, ma a quel bipolarismo che nella democrazia europea e occidentale vede i contendenti alternativi essere in grado di “fare quadrato” quando è in gioco la sicurezza nazionale. La serietà della situazione non consente di baloccarsi con antagonismi e nuovismi radicali e superficiali che rimasticano tesi partorite all’inizio degli anni Novanta e che rispecchiano mondi ormai irreali.

Sia sulla sinistra sia sulla destra siamo sotto tiro di tesi che risalgono alle primitive interpretazioni della fine del comunismo. In campo berlusconiano si agita ancora come prospettiva innovativa il mondo di cartapesta della cosiddetta “Fine della storia” di Fukuyama. Si immagina di fronteggiare la crisi mondiale come se si vivesse in un mondo unidimensionale con inevitabile e lineare sbocco neoliberista tutto Popper e von Hayek. Dall’altra parte, a sinistra, si vive condizionati dalla lettura speculare di “Impero” di Negri e Hardt che riciclando le tesi sull’integrazione neocapitalista dei primi anni Sessanta immagina che nel post comunismo la sinistra debba essere tutta ong e black block contro vertici di governo, Banca mondiale, Nato.

In questo quadro l’elemento obiettivamente destabilizzante e nocivo è certamente il partito dell’antipolitica presente nella maggioranza e cioè intorno al Presidente del consiglio. In che cosa consiste? C’è chi infatti ha pensato di usare il caso Ruby come nella Lega si è usato l’ictus di Bossi e cioè cogliere l’occasione per dar vita a un “cerchio magico” intorno al leader pseudo protettivo, esclusivo e aggressivo nel segno dei duri e puri. Un clima di epurazioni e di piaggeria tendente a creare il vuoto e cioè a perdere e a non aumentare il consenso.

Il centro destra da quest’autunno ha vissuto sotto la cappa di questi due “cerchi magici” formatisi intorno ai due leader e che sono alla base della sconfitta elettorale avendo presentato il centro-destra come un gruppo non di dialogo e di ascolto, ma di epurazione e, in democrazia, le epurazioni hanno anche costi elettorali. Nel caso poi del Pdl il livello di guardia è stato abbondantemente superato nel momento in cui il “cerchio magico” del berlusconismo duro e puro – sull’onda della lotta a Fini – si è cristallizzato su un’aurea di ex An nel segno di una destra nuovista che immagina una “rivoluzione liberale” senza conoscere la storia liberale e come la democrazia liberale si svolga nel segno del liberalsocialismo e del cattolicesimo democratico. Una “rivoluzione liberale” contro tutto e tutti e senza nulla e nessuno.

È così che si è concentrato il tiro contro Tremonti. Di fronte all’accusa di reiterare il “metodo Boffo” il “cerchio magico” berlusconiano ha cercato di buttare all’aria la politica economica del governo Berlusconi accusandola di essere “socialista”. Il riferimento è al welfare. Ma il passato deficit e la costruzione del welfare hanno in Italia un’impronta anche se non soprattutto democristiana, ma non si può chiedere al “cerchio magico” il coraggio che non ha e cioè il mettere in discussione l’opzione per un’identità di Partito Popolare europeo che è alla base della recente elezione di Alfano.

Rimane quindi spazio solo per l’epurazione del “socialista”. Abbiamo quindi visto in questi ultimi giorni come proprio il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, abbia invece sottolineato l’importanza del rapporto del Pdl con la tradizione cattolico-democratica e socialista riformista impersonata tra gli altri proprio da Tremonti. Per la maggioranza di Berlusconi se si vuol reagire al declino e al piano inclinato tocca cogliere l’occasione di una sponda responsabile – non destabilizzante e avventurista – rappresentata da Napolitano. Conviene cioè imboccare la strada di un vero e proprio movimento di forze pluralista, non arrogante e autoreferenziale. Si tratta di fronteggiare la situazione inedita non con formulette di “breve corso di storia del liberalismo”, ma con iniziativa rivolta a un elettorato non di destra agitata, ma secondo ascolto e consenso.

È un bivio e vedremo nei prossimi giorni quale strada (senza ritorno) imboccherà Berlusconi (e anche Bossi): se insistere nel ruolo di padre-padrone oppure avere l’intelligenza di essere un po’ più padre e un po’ meno padrone. Da un lato c’è lo sviluppo del Pdl nella prospettiva di un allargamento della maggioranza, dall’altra c’è il partito “repubblica di Salò” alimentato da sondaggi confezionati per suggerire a Berlusconi di sciogliere il Pdl e farsi un partito tutto suo di fedelissimi del “cerchio magico”. Intanto Tremonti rassicura l’Europa, Napolitano fa approvare la manovra del governo, Alfano cerca di recuperare Casini e Bossi torna a fianco di Tremonti.