Gli incontri che si sono susseguiti in questi giorni tra politici di diversi partiti e schieramenti, accomunati da una sorta di etichetta che li vuole particolarmente sensibili alle tematiche care alla cultura cattolica hanno creato un certo scompiglio sulla stampa e sono stati in molti a chiedersi che senso avessero… Forse di questi incontri ha colpito una maggiore intensità di frequenza rispetto al passato; forse ha creato un certo allarme il vento di crisi che comunque sta attraversando il governo e la maggioranza, senza però escludere né il partito democratico né la stessa solo apparentemente granitica Italia dei valori.
Fatto sta che i giornalisti in transatlantico cercavano di intervistare ora l’uno ora l’altro dei parlamentari per capire cosa ci fosse nell’aria, tutti si ponevano una sola ed analoga domanda: c’è davvero qualcosa di nuovo o si tratta solo di qualcosa d’antico… E in questo caso quanto pesa la rievocazione della vecchia DC e la breve e tormentata storia del Partito popolare… Ipotesi, fantasie, illusioni e delusioni erano come fantasmi a passeggio lungo il transatlantico. Ma la domanda di fondo resta… Cosa hanno in mente questi cattolici che stanno nei vari partiti e che parlottano tanto tra di loro, senza segreti, disposti a confrontarsi con chiunque abbia voglia di capire, di parlare, fosse anche di criticare… Sono scontenti, insoddisfatti, ma certamente più risoluti che mai a non essere irrilevanti…
In questo senso l’ultimo degli incontri, quello che si è svolto il 14 luglio –data dall’indubbio sapore storicamente rivoluzionario- riveste un particolare interesse, sia per la indubbia partecipazione di tante e tante persone, che per le parole forti e coraggiose della relazione introduttiva, tenuta da Mons. Toso, segretario del Pontificio Istituto Giustizia e Pace. Non c’è dubbio che la sua provocazione abbia trovato un terreno fertile in tanti ascoltatori, che subito dopo si sono sentiti sollecitati ad intervenire, per esprimere speranze e timori. Ma per dichiarare nello stesso tempo una specifica disponibilità a rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco.
Di fatto Toso ha smontato un assioma che considerava archiviata per sempre la diaspora dei cattolici nella pluralità dei partiti e ha gettato una rete per offrire una opportunità di capovolgimento di prospettive e quindi di responsabilità: “Decretare,come è stato fatto da parte anche di illustri pensatori cattolici, che, dopo il Concilio Vaticano II, storicamente e teologicamente è improponibile la nascita di partiti di ispirazione cristiana – perché necessariamente si cadrebbe nei cortocircuiti che si ebbero al tempo della DC -, è, dal punto di vista della logica politica, perpetrare uno scippo ed emettere una sentenza di condanna del laicato cattolico allo stato di minorità politica, praticamente destinato solo a partecipare ai partiti che fondano gli altri, quasi che i cattolici fossero dei cittadini di serie b e fossero intrinsecamente incapaci di costituirne, assieme ad altri uomini di buona volontà.”
Le due premesse tracciate dall’illustre relatore hanno una vera e propria forza dirompente, perché dopo circa 50 anni e risalendo ben prima della fine della DC, si dice per l’appunto che la sua fine non era né ovvia né scontata, né tantomeno teologicamente fondata o necessaria, come qualcuno in questi anni ha voluto sostenere con argomentazioni più o meno sofisticate. La seconda premessa restituisce al laicato cattolico la responsabilità dello spirito dell’iniziativa, che è qualcosa di più che la semplice collaborazione con altri soggetti, sia pure di buona volontà. Il laicato cattolico non può essere ridotto da nessuno allo stato di minoranza politica, neppure da se stesso; si tratterebbe di una soluzione di comodo, pigra e indegna della forza riformatrice del Vangelo, da sempre impegnato a portare il buon annuncio: i ciechi vedono, i sordi sentono, gli zoppi camminano e ai poveri è annunciata la buona volontà… Sembra poco, ma è da oltre 2000 anni il cuore della dottrina sociale della Chiesa e il nucleo fondativo di ogni politica di welfare. Sempre che i cattolici se ne ricordino e abbiano voglia di mettersi in gioco per dare compimento alla parola di Dio.
Mons. Toso ha poi continuato nella sua relazione, pronunciando parole come pietre, che sono giunte agli ascoltatori da una parte con un senso di liberazione: era proprio ciò che volevano sentirsi dire, ma dall’altra con il senso di timore di chi sa di non potersi più tirare indietro, e tutto sommato si comincia a chiedere se è davvero all’altezza della situazione: “Pare, invece, che il Concilio Vaticano II riconosca ai credenti una chiara autonomia in politica. Una tale autonomia implica anche che i cattolici, valutate le condizione storiche e le poste in gioco, possano decidere di dare vita a eventuali partiti. Perché il contributo della visione cristiana non divenga insignificante, ma sia invece ricchezza per tutti, perché non immaginare che tra le vie da percorrere non vi sia, esperita quella della diaspora, anche un’altra soluzione? Su questo punto, evidentemente, sono i cattolici che militano nei vari partiti che debbono fare la loro valutazione. Nessuno può sostituirsi ad essi… “. Sembra arrivato il momento di archiviare il tempo della diaspora per sentirsi nuovamente impegnati nel clima della profezia, tipico di chi anticipa il futuro, anche se questo potrebbero non essere necessariamente foriero di buone conseguenze per il profeta…
Non a caso il titolo dell’incontro era proprio questo: Diaspora, unità e profezia per i cattolici italiani ed europei… Il realismo politico obbliga a ben valutare le condizioni storiche e la posta in gioco, ma la scommessa c’è tutta: non permettere che diventi irrilevante, insignificante, è il termine usato, la visione cristiana, sapendo invece che c’è in lei una ricchezza enorme che si dischiude per tutti gli uomini e non solo per i cattolici. Oggi è questo il dilemma su cui si interrogano quanti fanno politica a vario titolo, ma tutti sempre con la ferma determinazione di essere davvero sale e lievito, secondo la metafora evangelica. Il punto è come dare sapore ad una società sempre più amareggiata, rassegnata e ripiegata su se stessa, e proporle invece il miracolo dello sviluppo, della crescita. Una crescita che potrebbe far fermentare tutta la massa, quella formata da cattolici e non cattolici, da credenti e non credenti o da diversamente credenti, da giovani e anziani, da donne e uomini, da sani e malati. La crisi di questi giorni, descritta in modo drammatico dalla recente legge finanziaria, svela un sottofondo di corruzione, di incompetenza e di clientelismo, che fa del mercato della raccomandazione un vero e proprio cancro della nostra società. I privilegi di casta, a cominciare da quelli dei politici, ma senza escludere le altre mille miriadi di piccoli e grandi centri di potere, che gestiscono il loro patrimonio in modo assolutamente autoreferenziale, a disposizione dei propri amici e dei migliori offerenti di turno. A prescindere dai bisogni reali, dal merito e dalla giustizia, dalle nuove povertà emergenti e dalla disperata volontà di mettersi alla prova di tanti giovani e brillanti precari.
Certamente sono tanti i giovani che si avvicinano a queste iniziative nella speranza che l’area cattolica che vi si respira sia un’aria meno inquinata, che non ci si trovi intrappolati in una logica dove il merito non ha spazio perché da tempo le virtù sono state mandate al macero e l’etica pubblica ha perso smalto e sapore. E’ la prima delle condizioni poste da Toso per poter parlare di questa nuova stagione di cattolici impegnati in politica per edificare la città terrena e rendere migliore il mondo in cui viviamo. “Il mondo cattolico sa che quando ci si impegna in un simile tema il contesto naturale entro cui ci si viene a collocare… è quello della evangelizzazione del sociale, o meglio della nuova evangelizzazione del sociale, secondo la quale impegnarsi in politica è una forma alta di vivere la carità di Cristo”. Non sorprende pertanto che nel prossimo incontro, quello del 19 luglio sia convocato tutto il forum delle associazioni cattoliche che sono particolarmente impegnate proprio nel sociale, perché, come si è detto tante volte, non è solo una certa cultura della sinistra, e magari della estrema sinistra, ad essere sensibile alle tematiche e alle problematiche sociali. La sensibilità per il sociale è nel DNA del mondo cattolico, da quando qualche migliaio di anni fa si cominciò a scolpire una sorta di Charta magna del sociale, che recita: dar da mangiare agli affamati, dar da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i pellegrini, curare gli infermi, visitare i carcerati, ecc . Sono i grandi temi della immigrazione, delle politiche sanitarie, del contrasto alla povertà, scolpiti nel vivo della coscienza di tanti cattolici che facendo politica sentono con maggiore urgenza questo richiamo della loro coscienza e giudicano irricevibile una manovra che mantiene privilegi e destabilizza ulteriormente le fasce più deboli. E’ chiaro che in questi giorni quanti fanno politica con una sensibilità più spiccata si pongono l’eterna domanda: Ma è giusto? Potevamo fare di meglio? Potevamo intervenire prima, in che modo? E invece c’è stata la sensazione che si volesse rassicurare a tutti i costi un paese che andava gradatamente, ma inesorabilmente verso una crisi economico-finanziaria dalle gravissime ripercussioni sociali. Ma qualsiasi critica si faccia ad una certa classe di governo, questo non rende immediatamente migliore l’altra, quella che dall’opposizione incalza la maggioranza senza proposte realistiche efficaci, mentre è ben viva nella memoria di tutta la velleitaria insipienza della legislatura precedente, caduta dopo poco più di 20 mesi, perché incapace di trovare soluzioni condivise, ancora risucchiata da ideologie che riflettevano un modello antropologico lontano rispetto alla sensibilità del paese. Agli uni e agli altri molti cattolici, dopo aver tentato in mille modi di correggere la rotta, di modificare un approccio, di intervenire con emendamenti mirati, stanno pensando seriamente se non si possa fare qualcosa d’altro.
Sempre che si riescano a superare personalismi e piccole lotte di potere, fosse anche quella paradossale di chiedersi chi è più cattolico dell’altro… Ma i cattolici per definizione devono sempre ricominciare dalla loro unità, dalla capacità di fare del loro nome: cattolico, una vera e propria dimensione della loro universalità. E’ la sfida con cui stanno provando a misurarsi in questi giorni, il vero pericolo che potrebbe non consentire loro di decollare. Non a caso Toso ha parlato di Politica come Carità di Cristo, e allora viene in mente quella bellissima preghiera del Signore: “Ut omnes unum sint, sicut tu Patre in me et Ego in Te… “ Allora il tema di un partito di cattolici potrebbe avere la sua maggiore difficoltà proprio nel fatto che non siamo abbastanza cattolici, ma stiamo cercando di strumentalizzare la nostra carente cattolicità per farne un luogo di potere. Una sospetta operazione di tipo simoniaco, decisamente destinata al fallimento. Per questo in questo periodo di gestazione di nuove idee e nuovi modelli è importante incontrarsi, confrontarsi, provare a capire quanto siamo capaci di andare d’accordo, di ascoltarci reciprocamente, di individuare realmente delle priorità a cui subordinare altre cose meno rilevanti… Serve a tutti una rinnovata formazione che permetta di lavorare con serenità ma anche con determinazione e con tempestività, perché dice ancora Mons. Toso: “Interessarsi della formazione politica non è interessarsi di una realtà diabolica, bensì di una dimensione dell’esistenza prevista dal disegno di Dio, facente parte della vocazione cristiana.” Stiamo parlando in altri termini della vocazione politica come parte integrante della vocazione cristiana, niente di meno e niente di diverso…