La Camera che vota per l’arresto di Alfonso Papa e il Senato che si oppone agli arresti domiciliari per Alberto Tedesco. Il tutto nel giro di pochi minuti, in una strana giornata estiva di questa ormai indecifrabile legislatura. Alfonso Papa deve rispondere alla procura di Napoli per l’affare P4, mentre Alberto Tedesco sarebbe coinvolto nel filone delle indagini sulla sanità pugliese. Questa è la nuda cronaca su cui tutti i commentatori stanno cercando di ragionare e spiegare perché, in base all’articolo 68 della Costituzione, si possa arrivare a decisioni opposte.
Non trascurando il fatto che Papa (pidiellino) è stato silurato, diciamo così, da una parte del voto leghista, cioè della sua maggioranza, mentre Tedesco (un superstite di quella che un tempo era la sinistra italiana) è stato salvato da una maggioranza “variabile”. Per condire il tutto, di quello che si potrà ricordare come il “20 luglio” 2011, arriva da Milano la notizia che uno dei più influenti esponenti del Partito Democratico, l’ex Presidente della Provincia, Filippo Penati, è sotto inchiesta per “tangenti in contanti”.
Quella che oggi viene definita la gente non sembra avare interessi o reazioni a questa brutta vicenda. Si può affermare senza il timore di essere smentiti che lo spettacolo è desolante e si può comprendere facilmente che ciò che scriveva il Censis sul rapporto tra politica e italiani è perfettamente realistico: il Paese è demotivato, corroso da un inquietante individualismo di massa “garantito” dallo Stato, lontanissimo dai cosiddetti partiti della Seconda Repubblica e insofferente verso quello che genericamente viene chiamato il mondo della politica.
E il tutto è giustificabile, comprensibile visto il comportamento di questa “nuova classe dirigente” uscita dalla cosiddetta “rivoluzione di velluto” emersa nel 1992, l’apertura di Tangentopoli. Il problema, purtroppo, è che ci si può disinteressare della politica, ma alla lunga è la politica stessa che arriva nelle case e nelle tasche dei cittadini.
Il problema quindi diventa di sopravvivenza, di come i cittadini italiani possono sopravvivere al degrado di questa situazione. In effetti il voto “opposto” della Camera e del Senato, per i due casi citati, prescinde da ogni considerazione di carattere giudiziario e processuale, in base a cui i parlamentari dovrebbero giudicare.
Qui si possono notare solo doppiogiochismi da “basso impero”, agguati e ricatti, faziosità di parte portata all’ennesima potenza. Prima del 1992 ci saranno stati dei partiti corrotti, ma oggi non esistono nemmeno più i partiti, ridotti ormai con nomi nuovi, ad agglomerati che difendono interessi personali, di lobbies, di corporazioni e sempre in base a quella insopportabile nuova ideologia che viene definita “questione morale”.
Sembra di riascoltare una vecchia battuta di Ugo Tognazzi, quando ironizzava sull’ipocrisia della politica, concludendo ogni discorso con un: “sempre nell’ambito delle Nazioni Unite”. Bisognerebbe avere invece il coraggio di dire che qui non si capisce più nulla di che cosa sia morale o non morale, anche declinandolo al mondo della politica. Ed emerge solo uno spesso strato di ipocrisia, una mirata disinformazione e una totale confusione.
Se non altro nel 1992 c’era uno schema: i partiti corrotti che stavano rovinando l’Italia. Era uno schema molto discutibile, che schematizzava su 40 anni di “guerra fredda” e su cui nessuno ha mai voluto veramente indagare. Basti pensare che il famoso “Dossier Mitrokhin”, in Italia non è un testo dimenticato, ma letteralmente sconosciuto e disatteso, tanto che alcuni si sono salvati per prescrizione, più o meno come in Calciopoli.
Ma adesso non c’è più neppure questo schema. Si va allo scontro del tutti contro tutti, all’interno degli stessi schieramenti a cui si appartiene, con l’unica logica del tornaconto personale e a breve. Se questa è la nuova Repubblica, vien voglia, paradossalmente, di fare un elogio alla corruzione alla maniera di Mandeville. Ma è anche questo solo un amaro paradosso.