Da Umberto I a Umberto e basta. Villa Reale di Monza torna a ospitare un uomo pubblico quasi esattamente (sei soli giorni di differenza) 111 anni dopo il mortale attentato che il 29 luglio 1900 vide perire l’allora re d’Italia per mano dell’anarchico Brescia. E con tutta evidenza, il precedente storico è tutt’altro che di buon auspicio per il Grande Capo della Lega e ministro Bossi: il quale, disertata pochi giorni fa l’aula dove si votava sulla richiesta di arresto per l’onorevole Papa, ha voluto invece sottolineare con la propria presenza il significato dell’inaugurazione dei cosiddetti ministeri decentrati al Nord.



Cosiddetti è la parola giusta: neanche al più ortodosso dei suoi fedelissimi il senatùr può spacciare per spostamento di un ministero (come fieramente preannunciato a giugno sul prato di Pontida) l’apertura di un ufficio con tre scrivanie, un computer, zero telefoni e qualche folkloristico fermarcarte con Alberto da Giussano in effigie. Dove, si è tenuto a chiarire a Monza, i ministri interessati saranno presenti al lunedì e al venerdì: nulla più di quanto facevano i parlamentari della Prima repubblica, grandi firme e peones, per curare il proprio collegio elettorale. Senza strombazzare la cosa per una rivoluzione istituzionale.



Il fatto è che la Lega in questa fase ha bisogno di produrre spesse volute di fumo per mascherare l’inedita incertezza che la caratterizza all’interno. Dove due fenomeni convivono e si intersecano: l’esigenza di smarcarsi dal Pdl per non perdere consensi elettorali; e le divisioni che caratterizzano la struttura di vertice del Carroccio. Sul primo punto, dai rifiuti di Napoli al rifinanziamento delle missioni all’estero, dal voto espresso su Papa a quello su cui bisognerà pronunciarsi per Milanese e Romano, la posizione leghista è abbastanza chiara. Lo sarebbe stata di più se Bossi alla vigilia della vicenda Papa non avesse provveduto ad autosmentirsi a ore alterne, e se in quest’ultimo fine settimana si fosse risparmiato la commediola dei messaggi a distanza col Cavaliere all’insegna del “tutto va ben”.



Ma come la pensi la quasi totalità della base, e una larghissima maggioranza del gruppo parlamentare, è fin troppo evidente. E poiché, al di là delle morbidose dichiarazioni di facciata, è molto facile che a primavera si vada alle urne, il Carroccio non può certo permettersi di veder franare i consensi faticosamente acquisiti negli ultimi tre anni, col rischio di tornare alla magra percentuale a una cifra detenuta tra il 2001 e il 2006 (4 per cento). Anche perché l’obiettivo di Bossi non è di fare la ruota di scorta di Berlusconi, ma di far diventare la Lega il primo partito del Nord: obiettivo sfiorato ma non raggiunto né nel 1996 (20 per cento sopra il Po), né alle regionali 2010 (23 per cento).

Qui si intersecano gli umori, anzi i malumori interni al Carroccio. Dove non è in atto (non a breve termine, almeno) la corsa alla successione di Bossi, ma uno scontro (probabilmente decisivo) tra una larga maggioranza che fa capo a Maroni e il cosiddetto cerchio magico che sta facendo quadrato attorno al Capo. Più che un cerchio un circo, ironizza qualche leghista di vecchia data. Ma che negli ultimi tempi si è fatto troppo presente: anche in senso fisico, con la ridicola pretesa di sedersi accanto a Umberto su qualsivoglia palco, da quelli istituzionali a quelli delle sagre di paese. Maroni non è più disposto a tollerare questa invadenza, soprattutto perché non vuole ostacoli interni sulla strategia che sembra avere in mente: non certo virare a sinistra, né ricondurre il Carroccio all’improduttiva corsa in solitario, ma ricostruire un centrodestra che recuperi Fini e Casini. Operazione non impossibile, visto che per entrambi il vero ostacolo è l’onnipresenza del Cavaliere.

Se Berlusconi accettasse di fare quel passo indietro in cui spera sottovoce anche una parte non irrilevante del Pdl, si potrebbe così portare la legislatura alla scadenza naturale del 2013, e al tempo stesso mettere a punto la macchina del centrodestra in vista di quell’appuntamento. Già, ma sostituirlo con chi? Non certo Tremonti, sulla cui eccessiva invadenza Maroni ha appena esternato. Magari con lo stesso Maroni, dando così alla Lega una visibilità ben più corposa delle modeste scrivanie (340 euro l’una) insediate nel pomposo scenario di Villa Reale.