È stato approvato ieri l’ottavo decreto legislativo di attuazione della legge delega sul federalismo fiscale. Si tratta di un decreto che riveste anche un carattere simbolico: introduce il cosiddetto fallimento politico, ovvero la incandidabilità e la ineleggibilità degli amministratori regionali e locali che mandano in dissesto i rispettivi enti.



Il carattere simbolico deriva dal fatto che il sistema italiano è sempre stato molto pesante contro l’imprenditore fallito, che fino al 2006 addirittura perdeva non solo la possibilità di candidarsi in una elezione politica, ma addirittura anche lo stesso diritto di voto. Ma non ha quasi mai previsto nessuna sanzione specifica per quegli amministratori che disastravano i conti dei loro enti. Anzi, spesso i protagonisti di questi dissesti, magari caratterizzati da sprechi e abusi spaventosi, sono stati premiati con la ricandidatura o con un posto sicuro su qualche altra poltrona, magari da europarlamentare. Il nuovo decreto pone la parola fine su queste prassi, segna una svolta storica nel nostro sistema, nel nome di un sacrosanto principio di responsabilità.



Quest’ultimo decreto introduce anche altre innovazioni decisive: ad esempio, la relazione di fine mandato, per cui prima delle elezioni dovrà essere pubblicato sul sito della Regione e di ogni ente locale un bilancio certificato dei saldi prodotti, cioè un bilancio certo e chiaramente leggibile a tutti gli elettori. Finiranno così quelle prassi dove un Governatore deve impiegare mesi per sapere qual è il buco della sanità lasciato dal predecessore, oppure un Sindaco appena eletto contesta i dati di bilancio ereditati dalla giunta precedente e mette in discussione il dato di partenza. Queste sono storie che accadono spesso in Italia e che inquinano gravemente il processo elettorale: su cosa votano gli elettori se i saldi veri si scoprono solo dopo le elezioni?



Un vero federalismo implica un metodo diverso: ti abbiamo chiesto questo con le imposte, lo abbiamo speso così, adesso tu ci giudichi con il voto. Questo diventa realtà con il nuovo decreto grazie appunto agli inventari di fine mandato che saranno pubblicati sui siti istituzionali prima delle elezioni. Finalmente, dalle prossime elezioni amministrative, in Italia si voterà sui dati di bilancio e non sugli slogan o sulla retorica. Gli elettori non saranno presi in giro. Inoltre, con questo decreto vengono introdotte innovazioni come la certificazione del livello di evasione fiscale delle realtà regionali e vengono previsti dei piani di rientro con premi e sanzioni. Vengono anche previsti premi per le Regioni che, nella sanità, introducono centrali acquisti e favoriscono l’applicazione dei Drg anche per il sistema pubblico, in sintonia con quanto già avviene in regioni virtuose come la Lombardia.

Quest’ultimo decreto conferma quindi una direzione intrapresa e permette di chiarire un equivoco. Si è infatti sostenuto che il federalismo fiscale sarebbe morto con la manovra, per via dei tagli e della loro distribuzione, ritenuta sperequata in relazione al comparto Regioni ed Enti locali. In realtà, va precisato che diverse richieste sono state ampiamente considerate nel testo finale della manovra e che la distribuzione delle misure di contenimento della spesa è proporzionale alla spesa primaria dei singoli comparti.

Ma il punto decisivo da considerare, ai fini di superare l’equivoco, è un altro. Occorre considerare in modo più compiuto la dinamica temporale: come ha affermato il ministro Calderoli in una recente audizione, il federalismo fiscale è una riforma strutturale, la manovra è un intervento congiunturale, seppure con obiettivo politico decisivo come il pareggio di bilancio. Un conto è una riforma di lungo periodo, un conto è una manovra. Il federalismo fiscale ha infatti una dimensione strutturale che modifica nel lungo periodo il sistema istituzionale e supera il centralismo, con un impatto su i grandi temi: i comportamenti, la responsabilità, la trasparenza, la democraticità, il controllo elettorale, il superamento della spesa storica. La manovra è invece congiunturale, con una finalità triennale e un obiettivo fondamentale che è il pareggio di bilancio.

Questo è certo un obiettivo ad alta intensità politica: nella crisi, senza pareggio di bilancio non c’è né lo Stato centrale, né federalismo. Non è il pareggio di bilancio che fa saltare il federalismo fiscale, ma è il pareggio che lo permette. Ne è riprova che Paesi autenticamente federali come la Germania hanno introdotto l’obiettivo del pareggio del bilancio nella Costituzione. Il federalismo fiscale non può quindi essere ridotto alla manovra. Il federalismo fiscale non è una finanziaria, è una riforma profondamente strutturale che incide in profondità sul sistema istituzionale. È diretto a raddrizzare l’albero storto, a riportare cioè il nostro sistema in un quadro di trasparenza e responsabilità, razionalità.

Il processo di determinazione dei costi e fabbisogni standard permette il risultato epocale del superamento dell’irrazionalità del finanziamento in base alla spesa storica, per cui più spendevi e più eri premiato: un meccanismo istituzionale perverso che per trentacinque anni ha orientato il sistema di spesa favorendo sprechi e inefficienze. Il decreto legislativo sulla armonizzazione dei bilanci, destinato a incidere, modernizzandoli, sui bilanci di 9.700 enti porta il nostro sistema a un livello di trasparenza e di ordine che spesso era gravemente compromesso. Si tratta di cambiamenti radicali e strutturali dell’assetto istituzionale, che permettono di rimediare anche alle gravi carenze cognitive che inquinano il nostro assetto istituzionale e depotenziano le capacità decisionali.

I decreti legislativi sul sistema fiscale di Regioni, Province e Comuni sbloccano e riformano l’autonomia impositiva in un quadro dove la spesa viene resa trasparente appunto attraverso complessi e decisivi processi di standardizzazione. Ed eliminano l’aspettativa deresponsabilizzante dei ripiani statali, che ha inquinato a lungo il nostro sistema non favorendo i processi di riforma e di ristrutturazione delle inefficienze. Gli esempi potrebbero continuare: dimostrano e confermano che il federalismo fiscale non va confuso con la manovra. Non comprendere che si tratta di un processo istituzionale di lungo periodo determina un grave fraintendimento che danneggia la giusta direzione riformista intrapresa dal nostro ordinamento.

Da questo punto di vista, la stessa attuazione della legge delega n. 42 del 2009 avvia ma non esaurisce il processo. Ad esempio, oggi si agisce molto sulle addizionali e sulle compartecipazioni, domani, in un quadro divenuto più razionale e trasparente per effetto della direzione intrapresa, il processo è destinato ad andare più avanti. La manovra è triennale, il federalismo fiscale che si avvia oggi con l’attuazione della legge n. 42 del 2009, non si esaurisce nemmeno nella delega: questa, con gli otto decreti legislativi approvati, pone il primo fondamentale e indispensabile tassello di razionalizzazione del sistema.

Una volta attuata – e anche “tagliandata” con i decreti correttivi – questa indispensabile riforma, il processo del federalismo fiscale, è potenzialmente destinata a essere più ampia: può essere vista in un orizzonte temporale non triennale, ma addirittura trentennale per le prospettive che può aprire. Così è avvenuto in altri ordinamenti simili al nostro, come ad esempio quello spagnolo, dove il modello attuale che vede oggi le Regioni spagnole (le Comunità autonome) gestire anche normativamente il 50% dell’imposta sul reddito, dopo la riforma fondamentale del 1980, è stato frutto di ben altri tre passaggi (1996; 2001; 2009), secondo un processo appunto che ha avuto durata trentennale. Un processo analogo è avvenuto in Germania con una costante manutenzione della normativa costituzionale e legislativa dei rapporti tra Federazione e Länder e poi le riforme del 2006 (Föderalismusreform I) e del 2009 (Föderalismusreform II).

Anche il federalismo fiscale italiano è un processo di lunga durata che è stato avviato in termini strutturali della legge n. 42 del 2009 e dai relativi decreti attuativi. Da questo punto di vista è interessante notare che lo stesso processo di attuazione della legge n. 42 del 2009 si è già dimostrato un grande laboratorio di innovazioni anche per il sistema centrale: basti pensare all’introduzione dei fabbisogni standard e al superamento della spesa storica anche per le amministrazioni centrali dello Stato. Peraltro, a conferma di quanto detto va anche rilevato che il nuovo disegno di legge delega assistenziale pone al centro le Regioni e i Comuni in vista della creazione di un sistema sanitario socio-assistenziale integrato, basato sul principio di sussidiarietà verticale e orizzontale.

Da questo punto di vista è decisamente improprio ridurre il federalismo fiscale al taglio dei trasferimenti da fiscalizzare. Il processo del federalismo fiscale è strutturale: è ben altra cosa e ben altra prospettiva. È chiaro che in assenza dei tagli nell’immediato l’attuazione del federalismo fiscale in base alla legge n. 42 del 2009 avrebbe portato maggiori benefici alle autonomie, ma, come si è detto, senza pareggio di bilancio ormai non resisterebbe non solo il federalismo, ma nemmeno lo Stato centrale. Non è una volontà politica nazionale a dirlo, non è solo un vincolo imposto dall’Europa, è qualcosa di diverso e molto più rilevante: sono i mercati a richiederlo.

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