Si riapre il dibattito – che in seguito alla prima versione della manovra sembrava ormai archiviato – sulle Province. Abolirle o non abolirle? E quali? L’idea è di eliminare quelle sotto i 300mila abitanti o sotto i 3mila chilometri quadrati. Che, a seconda del criterio adottato, potrebbero essere 36 o 29. Sta di fatto che il leader dell’Udc Pierferdinando Casini non ci sta, e fa sapere: o tutte o niente. Non voterà mai, quindi, alcun provvedimento che non preveda l’abolizione totale. «Così – ha detto – è semplicemente una presa in giro».



Secondo Casini «Non ha senso – ha aggiunto – che in Liguria si aboliscano tre Province e si lasci Genova. Noi chiediamo, sarà uno degli emendamenti, che si aboliscano le Province. Solo e semplicemente a partire dai rinnovi che dovranno essere fatti nel prossimo aprile».

Il professor Carlo Buratti, interpellato da IlSussidiario.net, non è così convinto della necessità di una loro abolizione totale, e spiega: «Sopprimere le piccole province, specialmente quelle nate recentemente, che non hanno neppure un centro di riferimento, è una cosa saggia. Per esempio quella del Verbano Cusio Ossola, dove la giunta sta da una parte e il Consiglio sta dall’altra. Sono nate per ragioni di rappresentanza del territorio, e per creare maggiori posti di governo per la classe politica locale ma non hanno una vera funzione». 



Diverso è il discorso della soppressione totale: «Abolirle tutte – aggiunge – è in contraddizione con alcune importanti funzioni che le sono state attribuite dalla legge Bassanini in poi». Le amministrazioni provinciali, tra le altre cose, si occupano «del mercato del lavoro o della cura delle strade».

Con l’accorpamento «si avrebbero enti più grossi, con una maggiore specializzazione del personale e una gestione più efficace dei servizi.  Potrebbero realmente diventare enti di riferimento del territorio e coordinare, anche dal punto di vista del bilancio finanziario – nell’ottica del federalismo fiscale e di una maggiore autonomia -, l’attività dei piccoli comuni».



I quali, d’altro canto, per decisione della maggioranza, dovranno (se sotto i 5mila abitanti) accorparsi. «Certo – continua Buratti – si tratta di soluzioni alternative, che impongono una riflessione». In merito ai criteri sin qui scelti per stabilire quali amministrazioni “meritino” l’eliminazione, il professore non ha dubbi: «La logica dei tre 300mila abitanti e dei 3mila metri quadrati potrebbe avere senso. Potrebbe, ma sono meccanismi arbitrari studiati ad arte. La provincia di Sondrio, quella di Tremonti, guarda caso è poco sopra i 3mila mq e si “salva”».

Quindi, in base a quali criteri sarebbe opportuno scegliere quali Province lasciare e quali abbattere? «La popolazione è sicuramente un criterio sensato, e 300mila abitanti è una cifra ragionevole. Un altro potrebbe essere la vicinanza tra i capoluoghi di provincia. Firenze e Prato (la seconda si è scorporata dalla prima) ad esempio sono assolutamente contigue».

Resta da capire se sussiste la volontà politica per attuare una simile ipotesi. «Il Parlamento che dovrebbe sopprimere le Province è in buona parte lo stesso che ha approvato quelle nuove. C’è una condivisione bipartisan di facciata, ma credo che, in fondo, siano ben pochi quelli realmente favorevoli», dice Buratti. In merito, infine, ai vantaggi meramente economici «che tuttavia non sono quantificabili precisamente», precisa: «Non sarebbero così elevati come si è finora stimato. Non sparirebbe la spesa complessiva delle Province, ma si eliminerebbero solo i costi amministrativi legati agli organi collegiali e allo stipendio di alcuni dirigenti e di parte del personale».