È proprio tempo di tagli impietosi. Una volta avevamo i tre tenori; adesso dobbiamo accontentarci dei tre ministri. Per giunta contestati dalla loro stessa platea, a differenza di quanto accadeva per i mitici Carreras-Domingo-Pavarotti. E uno di loro ridotto a rispolverare la canottiera d’ordinanza, magari per ispirare uno stile pauperista ai suoi sindaci che l’accusano di lasciare i Comuni nelle peste a spese dei pensionati.
È andata decisamente male (ed era la prima volta…) l’ormai canonica uscita del trio Bossi-Calderoli-Tremonti tra le Dolomiti. E se il superministro dell’economia si è visto sbattere la porta in faccia da quella Lorenzago dove ha remote radici, che l’aveva fatto cittadino onorario, e che adesso si vede a rischio chiusura dentro le tenaglie della manovra, non diversamente è andata ai due compagnoni leghisti, che stavolta hanno dovuto consumare a porte chiuse e blindate non già la classica cena degli ossi, ma un frugale spuntino (un esempio di austerità e taglio ai costi della politica?).
La toccata e fuga di Calalzo ha messo a nudo, in verità, la crisi di una Lega cui non bastano più le parole d’ordine lanciate ogni estate dal suo Capo, e regolarmente condite con il “sol dell’avvenire” della Padania e con il pepe di un’evanescente secessione. A contestare Bossi e Calderoli sono stati in prima fila i leghisti bellunesi: perché, se la loro provincia si è salvata per il rotto della cuffia dal rischio-chiusura, rimane comunque strangolata dai tagli della manovra. E con essa le decine e decine di Comuni del nord amministrati da sindaci del Carroccio (oltre 350, più una quindicina di Province, più 2 Regioni: un sesto del Paese), che già si erano visti annunciare un taglio da 1 miliardo per il 2012, e che si sono appena sentiti presentare un’altra tosata da 1,6 miliardi. Col risultato di vedersi costretti ad aumentare o le tasse locali o il costo dei servizi, in entrambi i casi attirandosi l’ira funesta dei propri cittadini; a cominciare dalle fasce deboli, quelle che più usufruiscono degli interventi municipali.
Vi daremo il federalismo con un anno di anticipo, ha annunciato Calderoli cercando di lenire il bruciore. In realtà ha sparso altro sale. Perché anticipare l’Imu (imposta unica sugli immobili) al 2012 significherà un altro salasso per i cittadini: se la vecchia Ici era del 4 per mille, con possibilità di portarla fino al 7, l’Imu parte dal 7 per arrivare fino al 10. E io comunque pago, non resterà che dire all’italiano medio sulle orme di Totò.
Dietro a queste concretissime questioni di soldi c’è lo sconcerto della base leghista per un Bossi che non è più lui. Gli ondeggiamenti e le incertezze del Capo sono il segnale di un declino che non è solo fisico: anche l’ultima rodomontata sulle pensioni sembra destinata a vacillare sotto la pressione della stragrande maggioranza delle forze politiche (Pdl incluso) e la quasi totalità delle parti sociali. E in una situazione di crisi così feroce, la Lega non può continuare a pretendere di essere quella che detta le regole con il 10 per cento del consenso elettorale. Né può turlupinare ancora a lungo chi la vota, e la propria stessa base, con promesse e sparate smentite da concretissimi fatti.
Hha lasciato passare le generose erogazioni del governo a Comuni spreconi (Catania, Palermo e l’odiata Roma in testa), ha tenuto bordone agli interessi privati di Berlusconi fino ad avallare la risibile tesi di una Ruby nipote di Mubarak, ha dovuto digerire scelte e situazioni cui si era fieramente opposta a parole (la guerra in Libia continua, così come continuano gli sbarchi sulle nostre coste).
Dentro il Carroccio cresce un’insofferenza cui il sempre più nutrito gruppo che fa capo a Maroni sta tentando di dare una risposta politica. Quanto a Bossi, appare sempre più isolato dentro il riparo da strapazzo del cerchio magico, trascinandosi dietro un figlio che ricorda sempre più lo spermatozoo nero tra la marea di bianchi nel celebre film di Woody Allen sul sesso, ridotto a chiedersi: che ci faccio io qui? Un Bossi in canottiera: ieri, in Sardegna, un’immagine da guerriero. Oggi, in Cadore, quella di un pensionato.